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Ok, ciao, benvenuti. Non sono sicuro che provare a creare questa rubrica abbia davvero un senso ma è da diversi mesi che sento la necessità di portare avanti una riflessione sul grande tema del rapporto uomo — tecnologia, sullo stato presente di questa relazione, speculando sulle alternative future che possiamo costruire.
Visto che da qualche parte bisogna cominciare, inizierò spiegando da dove arriva questa necessità. La scintilla per la mia riflessione è partita dalla mia lettura di ‘Technic and Magic’, capolavoro di Federico Campagna, filosofo italiano emigrato a Londra, che ho avuto il piacere di leggere lo scorso agosto mentre mi trovavo in Sicilia. Per chi se lo fosse già dimenticato (beati voi), il mese di agosto 2019 verrà ricordato dagli storici futuri come quello degli incendi in Amazzonia e del caos istituzionale in Italia. Tempi decisamente bui. Man mano che proseguivo nella lettura di Campagna però tutta questa oscurità mi sembrava un po’ più attraversabile, pronta ad essere ribaltata. Forse, era frutto di un errore _prospettico._ Forse approcciando il reale da un altro punto di vista, tutto questo non sarebbe più stato così necessario. Ma di cosa parla davvero Campagna? Per non perderci troppo, affidiamoci alla sinossi disponibile online.
“Diamo per scontato che solo un certo tipo di cose esistano — elettroni ma non angeli, passaporti ma non ninfe. Quanto esiste è ciò che comprendiamo come ‘realtà’. Ma in effetti, la ‘realtà’ varia con ogni epoca del mondo, dando forma al campo di ciò che è possibile fare, pensare e immaginare. La nostra epoca ha adottato una forma di realtà problematica e dolorosa: la Tecnica. Sotto la Tecnica, la Fondazione della realtà inizia a crollare, contraendo il campo del possibile e congelando le nostre vite in uno stato sofferente di paralisi. La Magia è presentata come un sistema di realtà alternativo alla Tecnica. Mentre la Tecnica cerca di catturare il mondo attraverso un ‘linguaggio assoluto’, la Magia concentra la sua ricostruzione del mondo intorno all’idea di ‘ineffabile’, idea che risiede nel cuore dell’esistenza. ‘Technic and Magic’ è un lavoro filosofico originale e un provvidenziale intervento culturale. È un libro che disturba la nostra comprensione della realtà, fornendoci al tempo stesso una nuova forma per il reale. Si tratta probabilmente dell’azione più radicale possibile: se desideriamo cambiare il nostro mondo, dobbiamo prima cambiare l’idea di realtà che lo definisce.”
Il libro affronta l’analisi filosofica di due sistemi di realtà, la Tecnica e la Magia del titolo appunto. La Tecnica è il sistema attraverso cui filtriamo la realtà al momento, un sistema che disgrega il mondo imponendo la sua ragione su tutto. È la ragione del calcolo, finanziaria, utilitaristica. La Magia è l’alternativa che Campagna fa sbocciare attraverso le sue pagine. Un _framework_ alternativo, un nuovo paio di lenti per vedere in modo nuovo il nostro mondo. Ma torneremo su questo. Infatti, nonostante il sollievo che la lettura di ‘Technic and Magic’ mi ha portato, non credevo davvero _servisse_ a qualcosa. Un bel lavoro, che mi ha fatto riflettere e anche emozionare, ma tutto sommato non “convertibile” in qualsivoglia tipo di pratica. Si trattava della materia più astratta di tutte del resto, la metafisica. Poi, la prima connessione. Qualche settimana dopo, tornato a Torino, mi sono ritrovato tra le mani un altro libro di filosofia (dovrei leggere più fumetti e vivrei meglio) intitolato ‘_Réenchanter le monde: La valeur esprit contre le populisme industriel’_ di Bernard Stiegler. Stiegler è un filosofo francese, considerato “_il più importante teorico francese dopo Derrida, e uno dei più importanti pensatori in tutto il mondo sugli effetti della tecnologia digitale”_.
La tecnologia, e soprattutto quella digitale, occupa un ruolo centrale in molte opere di Stiegler — sono più di 30! — e il suo pensiero è tendenzialmente “terreno”, maggiormente ancorato al mondo reale e a questioni di interesse pubblico. ‘_Réenchanter le monde’_ è una raccolta di testi del 2006 (ripubblicata nel 2010) che affronta appunto l’effetto nocivo che le tecnologie di consumo hanno sull’essere umano e quali risposte possono essere messe in piedi per rispondere a tale imbarbarimento di massa. In particolare, in modo pienamente francese, Stiegler ipotizza una serie di piani statali da attuare contro l’anarco-capitalismo delle Big Tech. Al ‘disincanto del mondo’ (espressione di Max Weber), al dominio delle logiche del calcolo e del profitto, il francese oppone un piano di ‘reincantamento’, di socializzazione della tecnologia:
Si tratta di inventare l’industria del calcolo che impedisca di calcolare (sul)le esistenze — ma inventarla con gli strumenti digitali.
Nella mia mente il discorso metafisico di Campagna, legato alla struttura stessa della realtà ha trovato una sorta di applicazione proprio nella missione di Stiegler. I due pensieri _vibrano_ sullo stesso piano. E infatti, nella mia mente, si sono indissolubilmente legati. Occorre un nuovo modo di vedere la realtà, di questo ne sono convinti in molti. La tecnologia ha forgiato il modo in cui vediamo le cose oggi. Ma non per questo possiamo permetterci di abbandonarla o di pensare ad un ritorno a tempi più semplici o più _naturali_ (spoiler: non sono mai esistiti). Dobbiamo inventare, progettare questa nuova metafisica anche attraverso un nuovo rapporto con i dispositivi tecnologici di cui ci siamo circondati. La Magia di Campagna, l’alternativa al presente, non si può architettare in un giorno. È un _processo_, in cui viene elaborata la cornice di senso del futuro. Tutto questo porta il nome di REINCANTAMENTO.
Chi scrive è una persona scostante e facilmente distraibile. Perciò, il fatto che questo termine-etichetta ‘REINCANTAMENTO’ sia rimasto nelle mie riflessioni _tutto questo tempo_ mi ha convinto che fosse un’idea di qualche valore. O quello, o ho sviluppato una sorta di ossessione. Ad ogni modo, nel corso dei mesi ho provato ad elaborare questi pensieri nella forma di un paper, magari indirizzato a qualche rivista accademica. Ho avuto difficoltà a fissare dei punti precisi e, allo stesso tempo, sempre più argomenti mi sembravano rientrare nel frame del REINCANTAMENTO. Forse, dopo tutto, si trattava davvero un’ossessione. Da una parte un dilatarsi di esempi di tecnologie ‘collaborative’ che mi sembravano incarnare lo spirito del REINCANTAMENTO e l’idea di una nuova industria digitale. Dall’altra, continuavo a riflettere su questo termine-etichetta che si era quasi ‘imposto’ sulle mie riflessioni. Ho ripreso Stiegler, capendo che ad ogni ‘reincanto’ precede un ‘disincanto’, sospettando a volte di questo termine che mi sembrava riferito ad una sorta di passato migliore, più semplice e ordinato. Ho cercato allora delle risposte nelle parole di altri autori: Max Weber, Michael Taussig, Silvia Federici, Friedrich Schiller etc. Tutti in qualche modo si sono espressi sulla questione. Mi hanno confuso ancora di più ma, al tempo stesso, mi hanno convinto dell’importanza del tema. E così ho proseguito.
Infine, come si capisce dal momento che state leggendo queste righe, ho deciso di divulgare e condividere le mie riflessioni. Iniziare, umilmente, a fare il mio per _reincantare_ il mondo. Diffondere nuove prospettive sul rapporto che abbiamo con la tecnologia, sulla consapevolezza verso i nostri dispositivi è un primo passo. È la direzione verso cui si muove questa rubrica. Parleremo di forme del passato, ribellioni del presente, vettori per il futuro. Il critico culturale James Bridle ha chiamato i nostri tempi _Nuova Era Oscura_. La quarta rivoluzione industriale, fondata sul dominio dei dati, avviene in contemporanea con la crisi climatica, il più grande disastro che la specie umana abbia mai affrontato. Nuove energie del pensiero sono più che mai necessarie. REINCANTAMENTO vuole provare ad attivarne alcune attraverso una riflessione processuale. Le idee hanno una loro evoluzione: si parte con una messa in moto iniziale, i pezzi iniziano a incastrarsi e trovano il loro posto per dare vita a delle macchine concettuali. Ecco, mi piacerebbe che questa evoluzione fosse trasparente e _open source_, aperta a innesti esterni e pronta sempre a mutare. Spero che questa forma comunicativa possa almeno in parte restituire l’idea di un processo evolutivo.
Dal prossimo episodio inizieremo a parlare del punto di partenza di REINCANTAMENTO: _Tecnica e Magia_ di Federico Campagna. Grazie per aver letto fino a qui.
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Ok, episodio 1 ma in realtà è il secondo. Bentornati alla rubrica sulla tecnologia che in realtà parla di filosofia. Partiamo con l’analisi del libro di Federico Campagna, filosofo italiano emigrato a Londra: ‘Tecnica e Magia’. Si tratta di un’opera ampia e ricca di spunti: le mie interpretazioni sono parziali ed è possibile trovarci molto di più e molto altro. Per questo è un libro che merita di essere consigliato, soprattutto a chi legge già filosofia.
L’opera di Campagna ci offre una visione metafisica di un problema al tempo stesso storico e tragicamente contemporaneo, la relazione uomo-tecnica. Nonostante l’astrattezza teorica del lavoro, si tratta in realtà di una riflessione utile e importante per articolare una nuova configurazione del futuro della tecnologia. Il valore “futuribile” di quest’opera è sottolineato sin dalla prefazione, affidata alle parole di un filosofo americano, Timothy Morton:
«Chi controlla il passato controlla il futuro, come si dice, e chi regola il passato tiene aperto ogni tipo di futuro, e più significativamente, tiene aperta la possibilità stessa di un futuro (diverso) in quanto tale: la futuribilità. Regolando chiropraticamente la spina dorsale dei pensieri che ci hanno portato fin qui, tutti i tipi di riflessione si aprono, e si comincia a sentirsi meno oppressi dal peso del passato, perché all’interno dell’incubo si sono trovate alcune chiavi per liberare il pensiero dalla sua implacabile intensità angosciosa. Immaginate ad esempio di poter guardare alle filosofie neoplatoniche e arabe per trovare qualche chiave magica per aprire le porte del futuro. Potrebbe essere molto più rinfrescante che riordinare i quadrati colorati sul mosaico della teoria contemporanea, che troppo spesso si traduce nel riordinare le sedie a sdraio sul Titanic della ragione cinica».
Morton descrive la paralisi che attanaglia tanta filosofia e teoria critica: le riflessioni prodotte da queste discipline sembrano essere intrappolate in un’opera di denuncia e di critica priva di sbocchi costruttivi. Descrizioni sempre più capillari della nostra alienazione, esplorazioni del nostro presente catastrofico forniscono patenti di “radicalità intellettuale” senza che però vengano fornite vie d’uscita di alcun tipo. È proprio una via d’uscita quella che Morton vede nell’opera di Campagna: un lavoro che ‘costruisce chiavi’, esplorando diverse tradizioni di pensiero (dalla Roma Imperiale alla Persia), capaci di aprire le porte di un diverso futuro. Vediamo in che modo.
‘_Technic and Magic’_ è un libro che si occupa di due sistemi metafisici. La ‘Technic’ (tecnica) del titolo è il nome che il pensatore italiano affida alla metafisica egemone ai nostri giorni, che regola il nostro modo di vedere il mondo. La prima parte del libro si occupa di descrivere criticamente il sistema vigente per proporre nella seconda metà un’alternativa, che porta il nome di ‘Magic’.
Partiamo dalla fondazione. Che cosa intende Campagna con il termine metafisica? La metafisica è l’assiomatica della realtà: «il luogo in cui si discute di cosa significhi esistere, di quali cose esistono legittimamente, di come esistono, in che relazione sono l’una con l’altra e con i loro attributi e così via».
Il livello metafisico stabilisce le condizioni di possibilità del reale e, di conseguenza, di ogni eventuale cambiamento: senza una (ri)definizione di questi parametri del reale è impossibile concepire nuove configurazioni socio-politiche. Campagna si interroga su quali assunzioni metafisiche siano necessarie per ‘giustificare’ le istituzioni del nostro tempo, quali credenze ontologiche supportino determinate forme economiche, quali forze del pensiero siano mobilitate nel nostro _worldbuliding_. Certi assiomi metafisici, interiorizzati come il destino dei nostri tempi, operano come un processo di creazione di uno specifico universo, che Campagna chiama “cosmogonia”. Il prodotto di questa cosmo-genesi non è la realtà _in sé_ quanto uno specifico ordinamento, risultato di un atto di ordine sopra il caos. La struttura del sistema di realtà è descritta parlando di ipostasi — i vari livelli in cui il sistema si organizza — e di “incarnazione archetipa”, vale a dire «una figura del quotidiano che incarna le caratteristiche di un particolare livello»_._
Il registro linguistico di Campagna, che lo stesso autore definisce ‘mitologico’, non deve ingannarci sulla natura della ‘Tecnica’. Questo sistema di realtà è solo uno dei possibili framework con cui potremmo lavorare: si tratta perciò di una costruzione puramente contingente che vuole essere letta come necessaria. La chiave che offre Campagna ai suoi lettori stanchi e delusi si basa proprio sulla contingenza. Il valore politico della contingenza ha una lunga storia filosofica ed è riassunto precisamente da questo passo di “_Realismo Capitalista”_ di Mark Fisher: «Una politica emancipatoria deve sempre distruggere l’apparenza di un “ordine naturale”, deve rivelare ciò che si presenta come necessario e inevitabile per essere una mera contingenza, così come deve far sembrare raggiungibile ciò che prima era ritenuto impossibile».
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Murales dedicato a Mark Fisher all’Università Goldsmith di Londra
Fedele a quest’idea, Campagna fornisce la rappresentazione di un nuovo sistema contingenziale, la “Magia”, che si rivela speculare ed opposto a quello della Tecnica. Il filosofo propone un nuovo inquadramento del mondo in grado di fungere da terapia ai mali della storia.
Cerchiamo di comprendere meglio il senso politico ed emancipatorio (per dirla con Fisher) delle tesi di ‘_Technic and Magic’_. Ancora nell’introduzione, Campagna definisce l’opera «non un manuale per trasformare la sconfitta di oggi in un futuro trionfo, ma una voce a proposito di un passaggio nascosto nel campo di battaglia, che conduce ad una foresta nascosta lì dietro».
L’articolazione di una nuova metafisica non è un atto principalmente politico: si tratta, piuttosto, di un gesto che occupa l’intervallo — il prima e il dopo — di quella che definiamo politica vera e propria. Vedere le cose ‘con un altro occhio’ (elaborare una nuova metafisica) è il primo passo verso la generazione di un nuovo sistema di realtà dal quale discendono a cascata — vengono emanate, direbbe Campagna — mutazioni politiche e sociali, delle quali è così evidente il bisogno in questi giorni oscuri. Si tratta quindi di un atto propiziatorio, fondante, parte dello sforzo per una nuova società. Eppure, proprio perché i giorni sono già oscuri (e non da ieri), è evidente che l’elaborazione magica di un sistema di realtà alternativo sia anche un atto post-politico. Nel caso in cui ci trovassimo, dunque, nel _worst case scenario_ — e tutto sembra suggerirlo — è evidente la necessità di vivere quanto meno una vita degna di questo nome, senza farsi trascinare dalla disperazione per la situazione storica in cui ci troviamo a vivere. Andiamo ora a vedere più nel dettaglio la struttura dei due sistemi di realtà di Campagna e in quale modo possano interessarci per parlare di tecnologia e futuro.
La metafisica tecnica, già dal nome, ha un legame strutturale con le tecnologie di oggi e il loro proliferare nel nostro mondo. È questo sistema di realtà a definire le condizioni di possibilità dell’evoluzione tecnologica così come noi l’abbiamo conosciuta.
Il primo assioma della Tecnica è già paradossale: essa, pur strutturando il reale, causa una sua lenta disintegrazione, un indebolimento dell’esperienza esistenziale. Il senso di catastrofe che avvertiamo nella cultura contemporanea corrisponde alla perdita di senso del nostro mondo. Ma questa perdita di senso non è frutto di un passaggio da un paradigma all’altro quanto dalla stessa forza che plasma la nostra realtà: la Tecnica. Per parlare di Tecnica, Campagna si accosta ad alcuni pensatori dai tratti politici e filosofici ben precisi: Spengler, Junger, Heidegger per esempio.
La metafisica Tecnica viene quindi associata ad una visione del mondo come un insieme di risorse da sfruttare, di obiettivi da raggiungere, di misure da operare per trarre conclusioni operative. Prima di essere, il mondo deve funzionare, deve essere adatto ai nostri obiettivi. La Tecnica ci svela il mondo come un insieme di cose riducibili al loro valore strumentale: valore che verrà deciso dal suo ruolo all’interno di uno specifico apparato produttivo, che a sua volta è ridotto alle sue capacità di espansione, alla sua possibilità di crescere all’infinito. Campagna definisce invece come opposta alla propria la prospettiva di Gilbert Simondon, filosofo francese, che inquadra la questione tecnica in altri termini. Vedremo in seguito quanto il pensiero di Simondon, così come quello di altri francesi come Gilles Deleuze o Bernard Stiegler, possa invece meritare un’integrazione all’interno della prospettiva di _‘Technic and Magic’_.
Tornando alla struttura della Tecnica, essa si fonda dunque su una assiologia strumentale: le cose esistono perché le cose ‘servono’. Possono essere dunque sfruttate, utilizzate, ma per che cosa? Campagna intuisce che per fondare una tale ontologia è necessario uno specifico concetto di causalità: le cose servono, funzionano perché producono qualcos’altro. A può produrre B, dunque A ha dignità di esistenza. La causalità è ridotta ad una funzione produttiva più che creativa, al riprodursi dell’esistente più che all’apparire di qualcosa di nuovo.
La produttività della Tecnica sottintende una assolutizzazione del Linguaggio. Il Linguaggio diventa il principio ontologico assoluto di questo sistema di realtà. La sua ontologia è un’ontologia posizionale, per cui gli enti sono definiti solo dalla loro posizione all’interno di una specifica serie. Come ci insegna la linguistica da De Saussure in poi (con qualche notevole eccezione), le parole hanno un valore contestuale più che essenziale. Il loro significato dipende dalla serie in cui sono immesse: le unità semantiche _in sé_ hanno tutte un valore equivalente. La loro esistenza dipende dalla posizione che vanno ad occupare. Il carattere seriale permette alla serie di proliferare e di riprodursi infinitamente. È fondamentale per l’ontologia della Tecnica la nozione di misura. La misura è il «principio necessario che permette le posizioni e le unità seriali della grammatica della produzione. […] La nozione di misura consiste nell’atto originario di selezione (_cutting up_) del mondo, in una maniera tale da permetterne l’infinita ricombinazione». La misura è il centro geometrico del mondo della Tecnica, che ne permette la trasformazione nel suo mondo: agisce trasformando gli enti da cose uniche e irriducibili a una serie di unità equivalenti e sostituibili.
Proviamo a fare un esempio concreto. Pensiamo a quel processo che viene chiamato ‘_datafication’_ (il trend tecnologico di produzione dei dati), che potremmo anche definire come il divenire-dato del reale. La trasformazione di tutti gli aspetti della realtà — dalla salute alla finanza — in dati è fondata proprio sul potere onnipervasivo del linguaggio: cosa sono le immani quantità di dati e metadati accumulati ogni giorno dai dispositivi che ci circondano, se non stringhe di parole e numeri, immensi flussi linguistici che filtrano il nostro rapporto con il mondo in sé? La nozione di misura è centrale: il bit come “equivalente universale”, in grado di trasformare qualsiasi tipo di ente (immagini, musica etc.), secondo una onnivalente serie numerica di 0 e 1. Non dobbiamo dimenticare come la cultura dei dati sia il frutto di uno specifico modo di produzione: il capitalismo post-Fordista prospera in questa centralità del linguaggio. Per Campagna, il Fordismo era ancora impegnato a tradurre il mondo esterno secondo i suoi valori produttivi e linguistici; il post-Fordismo invece ha ormai completato questa “messa al linguaggio”, riducendo l’esterno alla sua dimensione. Il capitale contemporaneo vede nei Big Data, il “nuovo petrolio”, la frontiera da raggiungere per perseguire un continuo aumento di plusvalore. Nulla può evitare di essere datificato.
Come nota [un recente articolo del Guardian](https://www.theguardian.com/books/2019/aug/08/the-twittering-machine-richard-seymour-review-social-media-dystopia): «Stiamo nuotando nella scrittura. Le nostre vite sono diventate un ‘testo elettronico». L’assolutismo del linguaggio influenza sia i critici sia gli apologeti della società dei dati. Nell’articolo del Guardian, per esempio, la struttura di un social network come Twitter viene individuata più nell’immenso testo prodotto dagli utenti e dalle loro interazioni, piuttosto che da quell’ assemblaggio di cavi a fibra ottica, server e sistemi di memoria che lo compone materialmente. Questo approccio ci sembra ambiguo perché accetta gli stessi presupposti dei fautori dell’economia immateriale. Un vero gesto critico dovrebbe evidenziare — come fa per esempio Benjamin Bratton in ‘_The Stack’_ — l’esistenza di un “ground” materiale di Internet, che è la sua assoluta _condicio sine qua non_. Senza le fabbriche di server io i cavi che attraversano l’oceano, i flussi linguistici perderebbero qualsiasi consistenza e “presa” sul mondo. Eppure, è parimenti vero, che mai come oggi, l’umanità ha circondato sé stessa nella scrittura: individui che in altre epoche difficilmente avrebbero preso una penna in mano, oggi si ritrovano a postare compulsivamente facendo di sé stessi degli scrittori amatoriali.
Inoltre, il riduzionismo linguistico è la filosofia di molti studiosi di data sciences o profeti dell’Intelligenza Artificiale. Il loro assunto ontologico di base è che il linguaggio della scienza informatica — il codice binario — possa cogliere l’interezza dell’esistente. Essi pensano che l’esistente sia davvero riducibile ad una stringa di codice, senza comprendere che questa tecnica, per quanto innegabilmente funzionale e utile a certi scopi, altro non è che uno dei modi in cui comprendere, cogliere il mondo. Proprio per questo motivo, secondo Campagna, il totalitarismo linguistico della Tecnica finisce per disgregare il mondo, piegandolo alla nostra categorizzazione. Il “pensiero computazionale” interpreta il mondo come un computer, uniformando il molteplice reale a una prospettiva univoca e finendo per distruggere tutte le altre dimensioni che lo compongono.
Nella metafisica Tecnica è custodita la volontà politica che ha permesso a _questo_ sviluppo tecnologico di ottenere il predominio del mondo. Infatti, la dimensione numerica della Tecnica ha un suo _telos_ nella continua espansione dei suoi limiti, nell’aumento costante di produttività, di riuscita, di capacità. La Tecnica è la metafisica del tardo capitalismo, altamente finanziarizzato e informatizzato. I Big Data non sono altro che una valorizzazione totale della realtà, la quale, spremuta fino all’ultimo bit, viene depositata e rielaborata per generare nuovi profitti. Come già notavano nel 1972 Gilles Deleuze e Felix Guattari ne loro _‘L’Anti Edipo’_: «Questo reticolo gettato sulla produzione da parte dell’informazione manifesta una volta di più che l’essenza produttiva del capitalismo non funziona e non “parla” se non nel linguaggio dei segni che le vengono imposti dal capitale commerciale o dall’assiomatica del mercato».
È nella produzione che la Tecnica trova il suo centro di gravità permanente, riempiendo il vuoto di realtà con la presenza trasversale del lavoro. Non è un caso, che prima di ‘_Technic and Magic’_, Federico Campagna abbia scritto un’opera contro l’ideologia del lavoro _(_ci riferiamo a ‘_The Last Night: antiwork, atheism, adventure’):_ a posteriori, possiamo leggerla come compatibile e integrativa rispetto all’imponente architettura della metafisica Tecnica.
Solleviamo infine un ultimo punto. Parlando di Tecnica, Campagna accenna al ruolo dei mercati finanziari in questa disgregazione del reale: «possiamo comprendere il ruolo giocato dal capitalismo finanziario, non meramente come una traduzione del mondo secondo la propria struttura linguistica, ma come creatore di un mondo che coincide esattamente con questa struttura». Quanto detto finora sui dati, vale ugualmente per la finanza, il divenire-immateriale dell’economia. Potremmo individuare un altro archetipo della Tecnica proprio in quegli algoritmi finanziari, capaci di decidere in frazione di secondo e di spostare grandi capitali senza alcuna agency umana. La scomparsa dell’umano dalla gestione dei grandi mercati azionari, quella che Alexandre Laumonier ha definito ‘la rivolta delle macchine’, può essere vista come un’anticipazione del futuro che sogna la Tecnica.
Il nostro compito è di costruire un’alternativa a questo futuro oscuro e il primo passo è proprio la costruzione di un sistema di realtà, in cui diverse alternative sbocceranno. Vedremo nel prossimo episodio cosa suggerisce Campagna nel suo libro. Non fatevi demoralizzare da questa doccia di ottimismo.
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_Guardavo, guardavo, guardavo questa pianta cercando di capire che cazzo scrivere e mentre la guardavo mi sono accorto che cercavo anche di capire: ‘che cazzo è ‘sta pianta? Quali sono le caratteristiche di questa pianta, che cos’è la cosa fondamentale di questa pianta?’ La risposta che mi sono dato è che la caratteristica fondamentale di questa pianta è che esiste. Ma poi mi sono accorto che non ero più in grado di aggiungere altro e non sapevo articolare il fatto che esistesse. Da qui è nata la roba sulla magia: in fondo l’ineffabile è l’esistenza. La pura esistenza delle cose, il fatto che le cose esistano in maniera misteriosa e autonoma._ [Federico Campagna, [intervistato da Yanez Magazine](https://www.yanezmagazine.com/federico-campagna-decadenza-e-anarchia/)]
Bentornati alla nostra delirante rubrica filosofica in cui si dovrebbe parlare di tecnologia ma si parla sempre di altro. Torniamo a rivolgerci a ‘_Technic and Magic_’ di Federico Campagna e alla seconda parte dell’opera, dove viene esposta la _pars costruens_ della riflessione del filosofo italiano.
Nonostante i caratteri totalitari della Tecnica, da noi analizzati nell’episodio precedente, Campagna apre una luce sul fondo del tunnel da lui descritto, prendendo in considerazione un’alternativa, una nuova metafisica che rappresenta il mondo diversamente e che l’autore chiama “Magia”. L’affermarsi assoluto delle caretegorie linguisitiche — il regime tecnico della _datafication_ capitalistica — infatti incontra un limite ultimo, un fatto innegabile e irriducibile, una singolarità energetica: la vita. Davanti a questo ostacolo, la Tecnica continua il suo lavoro liminare, parlando di allungamento della vita, immortalità o cercando di riprodurre la specificità biologica tramite clonazione o robotica. Si cerca di raggiungere quella che Campagna chiama “_resolution through simulation_”: simulare la vita sinteticamente, seguendo varie strategie, per ricondurla, infine, a un regime di riducibilità. Tuttavia, questi tentativi non riescono a chiudere la crepa nell’egemonia tecnica, a partire dalla quale un _cosmos_ di alternative si dispiega. Come mai Campagna adotta il nome di “Magia” per il suo sistema alternativo? Il filosofo italiano sceglie e sviluppa il senso ‘terapeutico’ della parola ‘magia’, con un riferimento al lavoro del grande antropologo e etnologo italiano Ernesto De Martino. Ben lontano dai significati che circondano la parola ‘magia’ nel nostro immaginario, per De Martino — Campagna cita l’opera ‘_Il mondo magico’_ — storicamente il ruolo di sciamani e stregoni nelle società arcaiche è stato proprio quello di superare la perdita di orizzonti che ha attraversato certe comunità. Per esempio, quando la modernità ha raggiunto certe aree rurali dell’Italia, è sembrato che l’armonia delle cose fosse perduta per sempre, che le relazioni tra esseri umani e natura si fossero disgregate e che nulla avesse più senso. Questo stato di _krisis_ è stato affrontato non limitandosi ai problemi dell’individuo ma individuando nuovi ‘frame’, nuove cornici che dessero un senso a quanto succedeva. All’epoca, il mago era il _terapeuta_ della realtà stessa:
«Quando un certo orizzonte sensibile entra in crisi, il rischio principale è costituito dallo sbriciolamento di ogni singolo limite: tutto può diventare tutto, cioè il nulla emerge. Ma la magia… interviene per fermare il caos emergente, e per risolverlo in un ordine».
Attraverso un sistema di realtà come quello tecnico, sono molte le ferite che il nostro mondo sta accumulando, dalle quali possono prendere vita orrori vecchi e nuovi. Il mondo che la Tecnica disgrega deve essere ricostruito e questo è il lavoro della metafisica magica. Infatti, il framework magico riesce a cogliere l’incalcolabile senza poterlo (e volerlo) mai esaurire. A questo proposito, Campagna cita M. Donà: «Il pensiero magico vive sempre e completamente nella differenzia iniziale di un processo che non può mai essere totalmente compiuto. _Magico allora è la forma del pensiero che è consapevole dell’eccesso alla base di ogni passo del suo dispiegarsi_».
La dimensione dell’eccesso e del dispendio inefficiente è la culla della _vera vita_, della vita liberata. Gli eventi di questi giorni, la quarantena, il distanziamento sociale, interrompono la produzione e gettano il nostro tempo nell’universo del _dispendio_ (_dépense)_ e dell’esperienza improduttiva. La vita sta nell’improduzione, nell’eccitazione senza culmine: tutto il tempo perduto apre nuovi modi di esistenza lontani dalla logica dell’accumulo e dell’utile. Lontani, direbbe Campagna, dalle idee dominanti all’interno del mondo della Tecnica.
«[…] Il processo cosmogonico della Magia ha origine precisamente da quella dimensione dell’esistenza che non può mai essere ridotti a nessuna classificazione linguistica. Nella prospettiva della Tecnica, identifichiamo questa dimensione come quel ‘qualcosa’ la cui resistenza all’annichilimento dà vita al sintomo del dolore. All’interno della prospettiva della Magia, dovremmo definire questa dimensione come quella dell’Ineffabile».
![](https://miro.medium.com/max/700/1*iXYN_gY_AoCpfashje7Nyw.jpeg)
_Der Garten der Lüste di Hyeronimus Bosch_
Una delle caratteristiche più affascinanti di ‘_Technic and Magic’_ è l’impressionante armamentario concettuale che Campagna mobilita, soprattutto nella paradossale descrizione della Magia. Il nuovo sistema di realtà proposto dal filosofo italiano si articola attraverso un viaggio in varie tradizioni di pensiero — dalle filosofie indiane alla teologia musulmana, dall’antropologia al pensiero politico moderno. Pur non potendo rendere giustizia a questo arcipelago del pensiero, cerchiamo di chiarirne alcuni punti importanti.
Centrale è la nozione dell’“ineffabile”: l’intero progetto di _incantamento_ di Campagna si basa sul rispetto dell’ineffabilità della vita e dell’esistenza. Essere ineffabile significa essere irriducibile alla forza del linguaggio_,_ significa difendere innanzitutto la dignità di quell’aspetto non-calcolabile degli oggetti, di quella _quidditas_ singolare che marca l’unicità di ogni ente. Nulla è completamente riducibile al linguaggio e il fatto dell’esistenza rimane primario rispetto ad ogni descrizione possibile di ciò che esiste. Concretamente, basta pensare alle centinaia di persone morte nel tentativo di attraversare un confine o considerate invisibili perché prive dei documenti giusti. È qui che il Linguaggio Assoluto, il modo in cui abbiamo organizzato la realtà attraverso categorie culturali — burocratiche, politiche, geografiche — soffoca la realtà stessa. Gli Stati non riescono a cogliere attraverso i loro linguaggi l’esistenza dei corpi migranti che, ciononostante, esistono così drammaticamente. Il tentativo di Campagna è allora quello di pensare un’organizzazione della realtà che non permetta più che il fatto ineffabile dell’esistenza venga represso. L’esistenza è la qualità ontologica comune a tutte le cose: «Questa dimensione vivente che attraversa e sostiene l’intero catalogo degli esistenti, corre ontologicamente ininterrotta attraverso tutte le cose». In un tale contesto, la parola ‘vita’ assume un significato simile ad esistenza, tant’è che Campagna dichiara ‘vive’ tutte le cose che abitano il mondo:
«Abbiamo definito ‘vita’ l’ineffabile dimensione al cuore dell’esistenza, considerandola come un flusso che scorre ininterrotto attraverso tutto l’esistente; quindi, abbiamo anche sostenuto una posizione sulla vita delle entità all’apparenza “non viventi” che è vicina alla posizione del filosofo contemporaneo Timothy Morton».
Una vita che tiene presente questa verità è una vita che può anche sfuggire facilmente alle categorie che vengono imposte dalla società: posso essere definito uomo, bianco, disoccupato, milionario, parassita etc. ma finché sono conscio di essere una singolarità irriducibile posso sempre scivolare tra queste definizioni. Non perché queste categorie siano puramente linguistiche ma perché la loro presa sul mondo si basa su un apporto fondamentale della lingua. Una persona “iniziata” alla Magia è al tempo stesso la galassia delle sue definizioni e un silenzio completo ed inespugnabile. Nel frame magico si vive secondo il “come se”: mi comporto come se fossi italiano, bianco, maschio etc. senza mai prestare obbedienza a queste divisioni categoriali, senza che esse diventino assolute prendendo il sopravvento sulla mia persona. Si tratta, a livello ontologico, di privilegiare la differenza e l’unicità rispetto all’identità e alla serialità. L’attitudine magica all’ineffabilità sembra riecheggiare questo passaggio di Deleuze in ‘_Differenza e ripetizione’_: «Una tale disposizione è diabolica piuttosto che divina, dacché la particolarità dei demoni è di operare negli intervalli tra i campi d’azione degli dei, come di saltare oltre barriere e recinti, recando confusione alla proprietà». La legge del linguaggio viene oltrepassata ed evitata dalla consapevolezza magica che salta oltre barriere e recinti come una muta di demoni.
La Magia permette al mondo di emergere, rincanta il mondo invece di annichilirlo. Il nuovo sistema afferma la profonda contingenza del linguaggio descrittivo, la sua capacità ad esprimere solamente una minuta porzione della nostra esistenza, e, di conseguenza, ne annulla le pretese totalitarie. In primis, sulle nostre vite:
«È una ritirata che è anche un’uscita — ed è un’uscita che è anche la fondazione di un sistema alternativo di realtà. […] Il primo impatto della magia sul nostro mondo ha luogo esattamente al livello dell’esperienza vissuta di una persona. _Rimuovendo il coinvolgimento esistenziale_ di una persona nei meccanismi di cattura disposti dalle istituzioni della Tecnica, il ‘come se’ della magia va ad erodere il cuore […] dell’edificio della Tecnica».
È un cambiamento sia oggettivo sia soggettivo: cambiano sia la realtà sia il nostro coinvolgimento in essa. La terapia magica agisce già nel qui e ora e così facendo cambia le possibilità di immaginazione del mondo. Campagna si riferisce a filosofie come l’epicureismo e lo stoicismo o ai fedeli repressi dallo Stato che mantengono le loro credenze nell’intimo: tutti casi in cui la realtà soggettiva che ci costruiamo cambia effettivamente la realtà oggettiva. La terapia di Campagna è simile anche alle pratiche di self-help di cui tanto si sente il bisogno nella nostra epoca. A differenza del self-help però, che si integra così facilmente con la produttività capitalistica, la magia dell’ineffabile rifiuta proprio l’assolutismo della tecnica e dell’utile.
Concludiamo questo episodio con un’ulteriore metafora. Campagna chiarisce il senso della sua metafisica magica attraverso un detto attribuito al profeta Mohammed: «Tra il mio pulpito e la mia tomba, è collocato il Giardino dei Giardini del Paradiso». Secondo quanto detto finora, il pulpito rappresenta la dimensione linguistica e razionalizzante dell’esistente, laddove le cose rientrano in categorie comunicabili e produttive. Dall’altra parte, la tomba rappresenta proprio quel regno di totale oscurità dove nulla ha un uso strumentale, dove l’ineffabile diventa totale. La visione magica del mondo corrisponde forse a questa notte oscura? No, perché tra il pulpito e la tomba emerge il Giardino, l’intervallo tra pura ineffabilità e pura calcolabilità: il regno della metafisica magica. La Magia vuole far emergere il mondo, vuole farci credere nel mondo così com’è: calcolabile ma mai esauribile da questo calcolo, organizzabile ma mai fedele alle nostre organizzazioni, abitato da umani ma non riducibile alla loro, seppur notevole, razionalità. Costruire un mondo attraverso la struttura della Magia significa creare una cultura che permetta all’ineffabile di splendere attraverso i suoi costrutti linguistici. In altre parole, quello della magia è un _ethos_, un radicale rispetto e amore per la vita e per l’esistenza, che va anteposto a qualsiasi altra considerazione sulla funzionalità o sulla produttività delle nostre organizzazioni.
La virata verso una metafisica magica di questo tipo è quello che noi definiamo, con le parole di un libro di Bernard Stiegler, “Reincantamento del mondo”. Siamo convinti che l’opera di Campagna non predichi una rinuncia alla funzionalità come un possibile criterio, o alla necessità pratica di organizzare il mondo secondo sistemi comprensibili. Il frame magico non assomiglia all’ indifferenziazione totale quanto ad un fiorente giardino in cui le stesse innovazioni tecniche che oggi soffocano il mondo collaborerebbero a farlo crescere rigoglioso. L’attitudine magica fin qui descritta fornisce un frame concettuale prezioso per affrontare in maniera diversa i problemi del presente e del futuro. Scegliendo di vivere il mondo attraverso una lente magica inedite possibilità si aprono anche a livello pratico. Si tratta di agire come dei designer del mondo a venire, come chiarito ancora da Campagna [in un’intervista](https://icondesign.it/storytelling/federico-campagna/):
«Insieme, un designer e un filosofo creano un’ingegneria della realtà. O meglio: un’ingegneria della realtà metafisica ed estetica. Potremmo dire che la sfida principale sia quella di creare un ambiente all’interno del quale sia possibile vivere. La filosofia è stata inventata per aiutare le persone a vivere e a morire. Detto così sembra banale, ma essere in grado di vivere è estremamente complesso, così come essere capaci di morire. Ed è proprio questo, se vogliamo, il più importante elemento di crisi del mondo contemporaneo. Se i designer vogliono intervenire nella realtà attuale, si devono occupare anche di questo, di ricostruire gli spazi mentali».
E pensiamo che queste scelte di design riguardino fortemente anche le tecnologie informatiche, il cui design a livello di codice comporta forti decisioni etiche e sociali. Con l’avanzare di questa riflessione, cercheremo di capire di più il legame che corre tra una nuova visione della realtà (una metafisica) e lo sviluppo di tecnologie solidale e cooperative, traendo anche qualche conclusione sull’idea stessa di _design_. Per proseguire su questo percorso, il prossimo episodio si focalizzerà su alcune idee del filosofo francese Bernard Stiegler. A presto.
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_«_Internet è bifronte, offre nuove e assolutamente straordinarie possibilità di individuazione, e, allo stesso tempo, minaccia l’individuazione nei suoi stessi principi_»_
Bentornate amiche, bentornati amici, bentornat* amic*. Nella puntata di oggi di REINCANTAMENTO, parleremo del lavoro di Bernard Stiegler, filosofo e attivista francese. Nella nostra riflessione il lavoro di Stiegler è fondamentale: abbiamo davanti uno dei pensatori moderni più attivi nell’ambito della tecnologia nonché attivista e animatore di diverse attività, istituzionali e non, volte ad _applicare_ alcuni tratti del suo pensiero. REINCANTAMENTO vuole anche essere un racconto di storie reali e di pratiche e data la natura anche pratica del lavoro di Stiegler, è inevitabile per noi finire nell’orbita del suo ampio lavoro, che attraversa la Francia da più di dieci anni. Come accennato nell’Episodio 0, il punto di contatto tra chi scrive e Stiegler è avvenuto attraverso un piccolo volume, pubblicato nel 2006 e aggiornato nel 2010, da cui nasce il nome di questa rubrica: _‘Réenchanter le monde: la valeur esprit contre le populisme industriel’._
![](https://miro.medium.com/max/303/0*V4_5b565VxpkHall.jpg)
Il Reincantamento del titolo si riferisce ad un evento dallo stesso nome promosso nel 2005 da MEDEF, la Confindustria francese (!): con questo nome si voleva evocare una nuova epoca di investimenti nel settore del terziario, in particolare nelle ‘industrie della conoscenza’ legate alle nuove tecnologie. Lo strano nome di questo evento del MEDEF ricorda l’idea opposta del ‘disincanto’, esposta dal padre della sociologia Max Weber. Weber parlava di disincanto in riferimento allo smarrimento e alla perdita di valore che ha attraversato il mondo da quando è stato ingabbiato dietro alle “fredde sbarre della razionalità” e del progresso moderno. Davanti al curioso nome dell’ evento del MEDEF, Stiegler inizia la sua riflessione su questi processi, evocando anche le parole del poeta francese Paul Valery, che nel 1939, all’alba della tragedia della seconda guerra mondiale notava un ‘travaglio dello spirito’ che pesava sull’Europa degli anni ’30. Anche Valery era sensibile alla perdita di senso che attraversava il mondo e che le promesse del progresso e della tecnologia non riuscivano a sostituire. Gli atti orribili della guerra, perpetrati attraverso potenti innovazioni tecnologiche (dalla bomba atomica ai radar), diedero ragione a Valery e al suo senso di smarrimento.
L’opposizione tra la Confindustria francese e il poeta smarrito apre il lavoro di Stiegler. In questa polarità, REINCANTAMENTO vede una similitudine con le due metafisiche di Campagna, analizzate negli episodi precedenti. Da una parte, l’uso delle ultime tecnologie digitiali (le industrie della conoscenza), incarnato dalla Confindustria francese, prepara un mondo organizzato secondo i principi del mercato, del consumo e del controllo. Dall’altra parte, Stiegler e Valery parlano di una perdita di spirito —nozione simile all’ineffabile di cui parla Campagna — e della necessità di formare nuovi valori, da costruire anche _attraverso_ lo sviluppo tecnologico. Il valore dell’esistenza potrebbe fondare una rinnovata trasformazione tecnica? È possibile trattare la Tecnica con Magia? In questa ipotesi, si tratterebbe di organizzare un re-incantamento dei dispositivi, non secondo la logica di comodo del _marketing_ o quella securitaria della sorveglianza, ma attraverso un effettivo aumento della nostra conoscenza, un’intensificazione delle relazioni umane e un miglioramento delle condizioni materiali. Tutto ciò si può pensare solo nella consapevolezza metafisica della sostanziale irriducibilità del mondo al dato e quindi ‘incantando’ la tecnologia attraverso la consapevolezza magica descritta da Campagna. L’intero lavoro di Bernard Stiegler ci appare come un tentativo di compiere un’operazione simile: cerchiamo allora di capire meglio alcune idee del francese e come possano dialogare con quelle di Federico Campagna.
Partiamo allora da un polo. Le teorie finora esposte condividono su un punto: sono le tecnologie moderne ad aver causato il _disincanto del mondo._ La perdita di senso collettivo è causata dallo stringersi delle fredde gabbie della razionalità tecnica sull’esistente_._ In questa prospettiva, il progresso e l’innovazione tecnologica sembrerebbero forze negative, responsabili dell’oblio e del tramonto del mondo. Nella filosofia di Bernard Stiegler troviamo una concezione differente della tecnologia, che eredita le riflessioni di tanto pensiero francese del secondo 1900 — autori come Jacques Derrida, Gilles Deleuze e Gilbert Simondon.
Proprio Derrida, ne _La farmacia di Platone_, riprende il termine _phàrmakon_, usato dal filosofo greco per parlare della scrittura, la grande innovazione del suo tempo. Il termine compare nel _Fedro_, dialogo platonico, laddove il personaggio di Socrate espone il mito di Teuth, divinità di origine egizia. Seguiamo l’esposizione platonica: il dio Teuth, inventore della scrittura, si presenta al re egizio Thamus per celebrare la sua invenzione e convincere il sovrano della sua utilità. Ma il re si mostra scettico, anzi condanna la scrittura come un _phàrmakon_ in quanto è copia della voce e dunque ha in sé il rischio di allontanarsi dalla verità, facendole perdere il senso vero e originario. La scrittura si distanzia dall’origine del messaggio che è l’interiorità, portatrice di un discorso immediato e vivo. Davanti all’esposizione platonica, Derrida individua un’ambiguità.
Infatti, la parola _phàrmakon_ si può tradurre sia come “veleno” sia come “medicina”. Qualcosa che può valere sia da veleno sia da rimedio è qualcosa che per sua natura è ambivalente e ubiquo. Della scrittura Platone dice che è un _phàrmakon_ perché essa indebolisce la stessa memoria grazie alla sua comodità e semplicità e permette la riproduzione menzognera di messaggia. E tuttavia, la scrittura fornisce proprio un nuovo supporto di memoria per l’essere umano, aumentandone le capacità. Il pensiero è spurio: senza il supporto mnemonico fornito dalla scrittura nessuno dei successi della razionalità umana sarebbe stato possibile, dall’algebra alla letteratura.
“L’uso della tecnologia ci fa bene o male?” a questa domanda, solo all’apparenza banale, il Platone di Derrida risponderebbe: “entrambe le cose”. Dunque, la tecnologia dipende dalle sue applicazioni e non ha una natura di _per sé_ buona o cattiva. Non sembra una grande scoperta quella di Derrida. Ma il colpo da maestro deve ancora arrivare. Nell’idea platonica, la scrittura ha infatti un valore negativo e secondario rispetto ad una forma di comunicazione superiore: la voce. La voce incarna la purezza dell’intelletto, è il mezzo di espressione umano per eccellenza ed è quindi superiore rispetto a tutto ciò che da essa deriva come la scrittura. Il genio di Derrida ribalta Platone contro sé stesso. La nozione di _phàrmakon_ è usata per attaccare ogni presunta “purezza” del pensiero (e dell’umano stesso). Il puro _logos_, l’intelletto umano non si sviluppa mai “naturalmente”: il pensiero razionale è sempre contaminato dall’esteriorità della tecnica, in questo caso la scrittura e le modifiche che porta nei ragionamenti umani. Quindi, la tecnica non proviene dal mondo esterno, non realizza un decadimento rispetto alla purezza dell’interiorità umana espressa dalla voce: essa è co-originaria allo sviluppo umano e lo influenza da sempre. La tecnologia non solo non è né buona né cattiva ma essa è anche parte del nostro destino: siamo creature tecnologiche sin dall’inizio della nostra storia e la scrittura (ma potremmo anche citare il fuoco) né è un esempio. Non c’è nulla di innaturale nella tecnologia né di estraneo rispetto ad una fantomatica essenza originaria: non è necessario fantasticare su un ritorno alla natura senza tecnologia, proprio perché la tecnologia c’è già da sempre, persino nella vita dei campi (Derrida parla anche di questo). Piuttosto, il punto è quello di progettare una tecnica che permetta lo sviluppo dell’essere umano e del mondo invece di una sottomissione ai suoi principi di calcolo.
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Platone, _hater della scrittura, impegnato a mettere per iscritto gli insegnamenti di Socrate_
Ritornando dai miti egizi al nostro mondo, questa visione è espressa anche dal genio rivoluzionario di Marx. All’interno di un sistema economico capitalistico, si tratta di liberare il potenziale tecnologico dal puro valore di scambio che esso assume sul mercato. Lo stesso Marx considera possibile un uso emancipatorio della tecnologia e vi accenna nei _G_rundrisse. Pur considerando quest’ultima la principale forma di sussunzione del lavoro vivo (il lavoro umano), essa non esaurisce il suo potenziale a questo (misero) scopo. L’esistenza della macchina non è: «identica con la sua esistenza come capitale… e, di conseguenza, la sussunzione [della tecnologia] sotto la relazione sociale del capitale non è la forma più appropriata o definitiva di relazione sociale di produzione […]». C’è un mondo tecnologico da creare e pensare oltre i limiti del presente sistema economico. Pensiamo ai potenti algoritmi utilizzati dai giganti del tech, come Amazon o Google, per indirizzare i nostri gusti e aumentare i propri introiti, la cui maggioranza proviene dalle pubblicità. Non si tratta forse di un uso limitato dell’immensa potenza di calcolo che questi programmi hanno? Non si potrebbe davvero pensare qualcosa di migliore? Per Bernard Stiegler (stiamo ancora parlando di lui) la risposta è sì.
Stiegler parte proprio dalle tesi di Derrida per il suo intero progetto ed egli ha persino chiamato il suo progetto di università _phàrmakon.fr_. Riattivare il senso terapeutico e benefico della tecnologia è lo scopo che egli si prefissa. In _“Réenchanter le monde”,_ egli utilizza l’idea dell’incantamento per parlare di una prospettiva terapeutica circa il nostro mondo tecnologico.
«_Proponiamo che in modo più generale (1) ogni tecnica sia considerata “farmocologica” nel senso di essere potenzialmente dannosa o benefica; (2) in assenza di una definizione di “terapia” — che i Greci chiamavano mélétè e épimeleia (disciplina, sollecitudine, cura), le quali presuppongono una tecnica del sé — un farmakon diventa necessariamente tossico. Proponiamo che, di conseguenza, una politica — che nel nostro tempo è necessariamente anche un’economia politica — sia prima di tutto e soprattutto un sistema di cura che consiste nello stabilire modi di vita (e una cultura) che sappiano come comportarsi con il dato stato farmacologico (tecnico e mnemotecnico). Una cultura è ciò che coltiva un attento rapporto con i pharmaka che compongono un mondo umano e che quindi lotta contro la loro sempre possibile tossicità_».
L’affinità con Campagna non è solo nominale: i due pensatori condividono proprio l’idea di una ‘terapia’ filosofica da sviluppare come punto di partenza per uscire dalla stupidità e dall’alienazione che la tecnologia porta nel mondo. La farmacologia è una questione di cura sociale nei confronti dei danni e dei dolori portati dalle rotture tecnologiche. La metafisica Tecnica è un framework che riduce e disgrega il mondo ma la tecnologia da cui essa si dipana non deve per forza operare con questo fine. L’apertura di un’altra visione sul mondo, ‘magica’ deve ricostruire positivamente un rapporto con la tecnologia senza posizioni di principio ma anzi conscia di questa fondamentale equivocità. Solo volgendo lo sguardo alla tecnologia come ad un _phàrmakon_ possiamo fare questo. Come si costruisce questo rapporto? Secondo quali punti si può articolare una terapia del genere? Per Stiegler la questione è complessa e si dipana attraverso politica, economia e psicoanalisi. Nel prossimo episodio continueremo ad esplorare il suo orizzonte concettuale per capire quali risorse ci fornisce. Grazie a chi ha letto fino a qui. A presto.
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Bentornati al vostro angolo preferito di riflessioni (non) sulla tecnologia.
In questa quarta puntata finalmente completiamo l’esposizione dell’originario retroterra teorico da cui nasce l’esigenza di questa rubrica. Come già spiegato [nella puntata 0](https://medium.com/@alessandrolongo_1883/reincantamento-episodio-0-come-siamo-arrivati-fino-a-qui-9f063ddc444), il progetto di REINCANTAMENTO fiorisce dalla congiuntura totalmente personale tra i lavori di Campagna e quelli di Bernard Stiegler: le loro riflessioni forniscono il _grund_ della nostra scapigliata ricerca. Una ricerca presuppone per sua definizione una transitorietà, un movimento, verso qualcosa. Dalle tesi dei due filosofi, ci sposteremo allora — già da questo episodio ma soprattutto dal prossimo — verso il mondo materiale cercando di applicare dei _tool_ filosofici alla tecno-politica di oggi.
Torniamo ancora per un momento alla nostra teoria, che anche oggi prevede pretenziosi termini greci. Nei suoi lavori, Bernard Stiegler si occupa principalmente degli effetti che le tecnologie informatiche e comunicative hanno sull’umanità, esplorando le prospettive aperte dalla società digitale. Per definire i dispositivi digitali, Il filosofo utilizza il termine greco _hypomnemata_ (ὑπομνήματα). La traiettoria dell’idea di _hypomnemata_ è simile a quella compiuta dall’idea di _farmakov_, discusso nella scorsa puntata: un concetto originario dell’antichità greco-romana viene ripreso dalla teoria post-strutturalista francese — in questo caso attraverso Michel Foucault — per approdare alle riflessioni contemporanee di Stiegler.
Ma cosa sono gli _hypomnemata?_ Nell’antica Grecia, gli _hypomnemata_ erano libri contabili, registri pubblici, taccuini individuali utilizzati per annotare considerazioni personali e ricordi, fungendo così da memorandum. Tra le classi colte si usavano come guide di comportamento, in cui si inserivano citazioni, frammenti di opere, esempi, azioni di cui si era stati testimoni o di cui si era letto il racconto.
In questa tecnologia di scrittura, si compie la prima esternalizzazione della memoria umana: gli _hypomnemata_ costituivano una memoria materiale delle cose lette, ascoltate o pensate, offrendo così questi come un tesoro accumulato per la rilettura e la successiva meditazione. Tali dispositivi — per Foucault — permettono lo sviluppo di una _scrittura del sé_, un processo di soggettivazione e di sviluppo dell’individuo, determinato dal supporto tecnologico. Spiegava Foucault in un’intervista:
«Ora, infatti, l’_hypomnemata_ ha un significato molto preciso. È un quaderno, un taccuino. Proprio questo tipo di taccuino stava entrando in auge ai tempi di Platone per uso personale e amministrativo. Questa nuova tecnologia era tanto sconvolgente quanto l’introduzione del computer nella vita privata di oggi. Mi sembra che la questione della scrittura e del sé debba essere posta in termini del quadro tecnico e materiale in cui è nata»
![](https://miro.medium.com/max/700/0*x8BpuZCQI8SQ67_G)
Scrivere invoca spettri
Stiegler espande il concetto foucaultiano ai nostri computer e ai nostri smartphone, ai lettori mp3 che hanno spopolato nel decennio scorso così come agli smartwatch degli anni ’10. L’individuazione, il processo di formazione di un individuo, avviene in relazione con l’‘ambiente che lo circonda: ambiente che comprende tutti i dispositivi di cui facciamo uso ogni giorno. In base al tipo di interazione con la macchina che si sviluppa, la tecnica assumerà un ruolo di medicina o uno di veleno. Proviamo a fare un esempio.
La memoria ‘espansa’ fornita dagli hypomnemata complica la concezione lineare della temporalità, intricando il rapporto tra passato, presente e futuro. Una riflessione di Bergson ci appare calzante: «Il nostro passato è (…) ciò che non agisce più, ma potrebbe agire, ciò che agirà inserendosi in una sensazione presente da cui trarrà vitalità. È vero che, nel momento in cui il ricordo si attualizza così, agendo, cesserà di essere ricordo, ridiventa presente». Così, la memoria esternalizzata dei dispositivi viene costantemente ri-attivata, attualizzando il passato e agendo sul presente. Un abitante di Atene, leggendo a distanza di anni un parere annotato sul suo _hypomnemata,_ poteva (ri)scoprire tratti della sua personalità e del suo _sé_ dimenticati e sfuggiti nel tempo. Allo stesso modo ma molto più intensamente, i nostri immensi archivi digitali, ricchi anche di immagini, video e musica, ci forniscono delle ricostruzioni su tutte le persone che siamo stati nel corso della nostra vita. La funzione “Accadde Oggi” di Facebook, per esempio, altro non è che una costante attivazione di ciò che sarebbe “naturalmente” dimenticato perché doloroso o, semplicemente, insignificante. Il social network di Zuckerberg esiste da più di dieci anni e per milioni di utenti rappresenta un archivio di affetti e momenti unici della propria vita: il nostro sé, la nostra psiche vengono messe profondamente in gioco da dinamiche del genere. Non è un caso che Jacques Lacan, celebre psicanalista, avesse intuito quanto la sua disciplina dovesse imparare a giocare la partita della tecnologia e degli _hypomnemata_: «L’avvenire della psicoanalisi dipende da ciò che avverrà di questo reale, cioè se i gadgets, per esempio, vinceranno veramente la partita, se noi stessi giungeremo ad essere veramente animati dai gadget».
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I nostri ricordi manipolati
La relazione uomo — macchina è considerata da Stiegler una relazione _‘_transductiva’: si tratta di un genere di relazione in cui i due termini si influenzano a vicenda. Il termine, che proviene dal pensiero di Gilbert Simondon, evidenzia come la crescita dell’uomo sia intrinsecamente e inevitabilmente legata alle tecnologie di cui ci siamo circondati. Anche qualora ci chiudessimo in un atteggiamento di diniego e rifiuto verso le tecnologie ne rimarremmo sempre influenzati.
Prendiamo il caso delle cosiddette _filter bubbles_. Gli algoritmi di personalizzazione dei contenuti governano i contenuti a cui accediamo tramite le piattaforme digitali. I consigli degli acquisti di Amazon, i video correlati su Youtube, le amicizie consigliate di Facebook: si tratta di contenuti pensati appositamente _per noi_, in base ad enormi quantità di dati precedentemente raccolti. Quelle che sembrano scelte dettate dal libero arbitrio di ciascuno di noi nascondono in realtà l’influenza delle architetture tecnologiche con cui stiamo interagendo. Non possiamo spiegare qui il complesso procedimento attraverso cui questo avviene: a dir la verità, molti aspetti rimangono ancora oscuri rendendo gli algoritmi delle vere e proprie _black box_ da analizzare. Cerchiamo però di capirne almeno in breve i pericoli.
Il ricercatore dell’Università di Torino Urbano Reviglio si occupa proprio delle criticità che questi meccanismi pongono in essere. Come nota in un [recente articolo](https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/2056305120915613):
«[…] La personalizzazione dei contenuti dei media può limitare la diversità delle informazioni, dall’esposizione alla scoperta. […] Il rischio maggiore è la creazione di “bolle informative”: a livello individuale, _filter bubbles_ (Pariser, 2011) e, a livello di gruppo, _echo chambers_ (Sunstein, 2017)».
Il caso del NewsFeed di Facebook è paradigmatico:
«Allo stesso modo, sotto l’egida del mantenimento delle relazioni con i propri ‘amici’, il “NewsFeed” di Facebook è moderato principalmente dall’omofilia, o similitudine per affinità (DeVito, 2017). L’eccesso di omofilia, tuttavia, contribuisce a diffondere la disinformazione, che spesso si traduce in cluster omogenei e polarizzati che ripetono contenuti emotivamente carichi ed esternamente divisori (Deibert, 2019; Sunstein, 2017). In altre parole, la crescente polarizzazione sociale e politica è in realtà parte del modello di business delle piattaforme di social media attualmente dominanti. Alla fine, la maggior parte degli utenti consuma contenuti personalizzati progettati per esigenze individuali implicite come l’edonismo, il sensazionalismo e la sottile auto-propaganda».
Reviglio mette bene in luce come le conseguenze di fenomeni del genere non siano solamente individuali ma si presentino soprattutto a livello collettivo e sociale. Gli algoritmi articolano una scrittura del sé su dimensioni mai viste prima e solamente immaginabili da Foucault. La questione degli _hypomnemata_ non riguarda solo il destino della psicanalisi, come prevedeva Lacan, ma della nostra società. Il potere delle compagnie private che posseggono le piattaforme e i loro algoritmi è duplice: da una parte, esso è economico, in quanto realizza un valore e una conseguente ricchezza dal possesso e dall’utilizzo dei dati. D’altra parte, esso è una vera e propria forma di _governo_ e di _sovranità_ rispetto a molti aspetti della vita degli users che abitano questi spazi digitali.
Antoinette Rouvroy, ennesima pensatrice francese citata in questa rubrica, ha chiamato questo potere esplicitamente _governamentalità algoritmica_. Il “governo attraverso i dati” si basa su strategie di profilazione e classificazione degli utenti che sono estremamente precise. Gli algoritmi prevengono così linee di condotta indesiderate, articolano le possibilità future soltanto attraverso i dati raccolti nel passato e limitando il più possibile l’emergenza di comportamenti nuovi o imprevisti. Ritorna l’eco della metafisica Tecnica da cui siamo partiti. Il mondo pensato dalla Tecnica e dagli algoritmi è prevedibile e non accetta novità, che entrano così nel campo dell’ineffabile e dell’impossibile. Ogni individuo viene chiuso in una bolla elaborata secondo i gusti e i comportamenti che egli ha _già_ espresso — di nuovo il passato e il futuro si complicano. Egli deve esprimere sempre sé stesso per come si è già espresso, la propria singolarità ridotta ai dati accumulati e alle predizioni possibili.
Le ITC portano ad un aumento effettivo delle comunicazioni solamente al prezzo di un incremento costante dell’eco, che ci fa leggere, vedere e sentire ciò che è stato previsto per noi. L’algoritmo ci categorizza e incasella secondo i nostri comportamenti, attraverso un comportamentismo a livello microfisico. In questo modo, i sistemi di scrittura algoritmici producono letteralmente i propri users in un sottile gioco di indirizzamenti che preserva la parvenza della libertà e della scelta. Questa produzione non ha altri fini però se non la massimizzazione del profitto delle aziende proprietarie. Per essere chiari, la governamentalità algoritmica non è che un prodotto della forma mentis neoliberale: cosa sviluppa il giudizio algoritmico se non la competizione, la gara per emergere come _diversi_, la cura minuziosa dei propri profili per poter affermare una soggettività più _unica_ e più valorizzabile? L’illusione è pensare di avere un microfono e una platea, quando in realtà siamo solo produttori di rumori in un caos generalizzato, dal quale vengono estratti informazioni e profitto senza che nessuno alzi un dito.
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Interazione uomo — macchina, ante litteram
Google o Facebook — al netto di alcune sostanziali differenze — occupano il lato “tossico” del phàrmakon tecnologico: eppure, ciò non esclude la costruzione di alternative animate da valori differenti. Stiegler parla di “_bêtise”_ del _pharmakon,_ la stupidità che anima la tecnica allo stato attuale e che porta alla disgregazione del mondo: non può che essere un sintomo di stupidità un tale utilizzo di risorse e di potenza computazionali (Google svolge trilioni di predizioni ogni giorno) che abbia come unico fine l’aumento della quotazione in borsa. Si arriva così a un generale stato di indifferenza: le macchine pensano mentre noi ci adeguiamo a un non-pensiero sedato e algoritmicamente orientato e tutto avviene mentre il mondo va a fuoco, proprio quando il più grande sforzo di pensiero della nostra epoca sarebbe richiesto.
Stupidità, tristezza, dipendenza: gli effetti delle nostre tecnologie sono coseguenze del loro design. Infatti la natura farmacologica e mnemonica della tecnologia si esprime in maniera diversa a seconda di come questa tecnologia è stata progettata. In sostanza, le scelte tecniche e di stile non sono mai solo questo ma nascondono conseguenze etiche, politiche e psicologiche. Come (forse) ricorderete, Federico Campagna paragonava la creazione di un sistema di realtà (metafisica) all’opera del designer, soprattutto a quei designer che nel mondo dei videogiochi si dedicano ad un lavoro di _worldbuilding_. Nuove scelte di design sono allora necessarie per progettare il nuovo mondo. Le nostre tecnologie non sono nate per un destino specifico o perché unico oggetto possibile ma sono frutto di determinate scelte a più livelli. Tuttavia, esse hanno talmente plasmato il nostro mondo da determinare come lo vediamo: in questo senso, esiste una metafisica Tecnica, un worldsystem globalizzante che sembra immutabile. Ma, lo dicevamo nell’ episodio 1, non esiste nulla di necessario se non la contingenza. Abbracciare la contingenza significa diventare i designer del mondo a venire. Come? Le risposte le troveremo, forse, in Olanda. A presto.
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Bentornati. Prima di incominciare questo quinto episodio, ricapitoliamo in breve alcune delle conclusioni raggiunte su REINCANTAMENTO. La tecnica e il pensiero che su di essa si basa stanno distruggendo il mondo e la nostra percezione di esso. Le tecnologie influenzano la formazione degli individui che le usano. Esse “scrivono il nostro sé”. Questo diventa evidente se guardiamo ai social network, così ricchi di relazioni, ricordi e immagini importanti per la nostra persona. Tali tecnologie meriterebbero quindi una cura e un’attenzione costanti dati gli immensi effetti che hanno sulle comunità che le usano. Ma così non è e la loro evoluzione viene indirizzata dalla volontà degli azionisti e dal controllo dei governi. La tecnologia è un veleno per la nostra società. Ma essa, secondo l’etimologia greca, può anche essere un farmaco e aiutare l’umanità nella costruzione di un mondo futuro. Farmaco o veleno? La risposta a questa domanda non è mai definitiva. Essa dipende dalle scelte di design compiute da chi, le tecnologie, le architetta e le presenta agli utenti. Il REINCANTAMENTO si attua ridisegnando gli oggetti che compongo il nostro mondo.
Che cos’è il design nel XXI secolo? Nell’epoca in cui tutti sono creativi e ogni prodotto è unico, dove si colloca questa disciplina? E quale relazione intrattiene con il mondo della tecnologia? Nei Paesi Bassi c’è chi ha voluto provare a rispondere a queste domande. L’ ‘Amsterdam Design Manifesto’ è un piccolo libricino di circa 50 pagine, un tripudio di esperimenti tipografici e slogan programmatici. Il manifesto è frutto di una collaborazione tra il graphic designer Mieke Gerritzen e il teorico dei media Geert Lovink, acquistabile fisicamente presso il Droog Store nella capitale olandese. Casualmente, lo scorso maggio mi sono ritrovato proprio a visitare il Droog allestito da “Temporary Design Space”. Dopo una mezz’ora di esplorazione, affascinato dagli slogan sulle pareti e dall’estetica generale, il piccolo libricino nero era diventato di mia proprietà, trovando posto nella tasca della mia giacca di jeans. Di recente ho riaperto il piccolo volume, rimanendo stupito dall’affinità tra le sue tesi e le riflessioni di REINCANTAMENTO. Quel testo si era impresso più a fondo di quanto io stesso credessi. Nella puntata di oggi cercherò di capire il perché.
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Il Manifesto è scaricabile [qui](https://networkcultures.org/blog/publication/amsterdam-design-manifesto/)
«Per il designer ambizioso è il momento di fare il passo successivo: progettare il futuro come relazione collettiva in sintonia con la vita».
L’Amsterdam Design Manifesto è un testo dada, ricco di provocazioni e slogan diretti soprattutto all’industria del design e alle sue propagazioni olandesi. Le tesi del Manifesto partono da un punto chiave: il design è ovunque. Nella società digitale il design si è propagato tra i beni di consumo: mentre negli anni ’50 l’opposizione tra beni di massa e oggetti di design era evidente, oggi ogni oggetto di consumo è un piccolo artefatto di design. Ikea ed H&M vengono indicate come gli esempi paradigmatici di una tale concezioni: le due multinazionali svedesi producono e vendono in massa ma fanno il possibile per mantenere una patina e un’aura di unicità intorno ai loro oggetti, come se si trattasse di pezzi firmati. Non a caso entrambe le multinazionali hanno collaborato con artisti e designer frequentemente: da Virgil Abloh a Karl Lagerfeld, i prodotti di massa sembrano opere di design pensate per le esigenze di ogni specifico consumatore. «L’azienda diventa calda e personale, permeando le nostre attività quotidiane e le nostre identità individuali. In questo senso, IKEA ha arredato le stazioni della metropolitana di Parigi con i familiari divani Klippan, senza sottolinearne il loro logo». Il design contemporaneo, nella diagnosi degli autori del manifesto, si è dissolto in _un’aura_ che circonda i nostri beni di consumo.
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Il design diffuso nei mobili svedesi
«Il design è un incantesimo. Il design diventa un canto, un mantra, un’invocazione sparsa attraverso le discipline nella speranza che faccia la sua magia. La tecnologia del design si sforza di controllare la realizzazione e il funzionamento dei sistemi e delle pratiche tecniche»
Lovink e Gerritzen ci presentano una sorta di “falsa coscienza” del designer: quando il design entra a far parte della standardizzazione del mondo delle merci la sua disciplina inizia a tramontare. Il compito del design diventa l’abbellimento delle merci, la creazione di un valore “unico” e di un aspetto convincente. Lentamente, il design diventa _Design Thinking,_ una strategia di management della produzione e del capitale umano. Il pensiero design-oriented è integrato nei processi del capitalismo cognitivo e creativo: non è un caso che cercando su Youtube “design thinking” i primi risultati provengano da [IBM](https://www.youtube.com/watch?v=pXtN4y3O35M) o da [Google](https://www.youtube.com/watch?v=UB9UVHGI6AI&t=29s).
«[Il design] Allo stesso tempo, ha ampliato radicalmente il suo campo d’azione, diventando olistico e persino curativo. Il Design Thinking è visto come un modo per risolvere “creativamente” i problemi mettendo gli esseri umani al centro della scena come “utenti”. Il design, nel frattempo, si è allontanato per un bel po’ di tempo dalle applicazioni concrete negli oggetti e nell’industria verso risultati immateriali e virtuali. […] Il Design Thinking ne è un esempio. Il Design Thinking non riguarda il design, ma una gestione impoverita di estetica, una pratica manageriale dell’estetica».
“Una pratica manageriale dell’estetica”: a questo si riduce la falsa coscienza del designer. E dove trova casa il falso designer? Naturalmente, nella Silicon Valley. Il Manifesto lo dice a chiare lettere: la visione del design oggi si esprime in tre parole “Designed in California”: «Qui entriamo in una _n_everland a tinte pastello[…] Le cose vanno sempre meglio. La passione per il design si limita agli effetti sociali delle nuove tecnologie in un contesto orientato al processo».
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Gli slogan costellano il Manifesto
A cosa serve tutto questo? Perché si rendono necessari processi di controllo dell’estetica, del design e dell’interfaccia? Il design è un incantesimo: così esordisce il manifesto. Ma perché il capitalismo tecnologico ha bisogno di incantarci? Cosa si nasconde dietro la facciata color pastello e i gradienti delle icone delle app? Un modello di business naturalmente. Un sistema di estrazione, organizzazione e valorizzazione dei dati: un sistema costantemente alimentato dai nostri likes, dalle nostre foto, dai nostri “parteciperò” eppure così fatalmente invisibile agli occhi di centinaia di migliaia di utenti. Interfacce e meccanismi sono frutto del lavoro di una classe di programmatori e designer che le ha progettate con la consapevolezza di ciò che stava facendo. Queste scelte sono implicate _by design_: nel modo in cui certi sistemi vengono costruiti sono implicite le loro conseguenze negative.
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In un saggio recente, [_Addiction_](http://www.vita.it/it/article/2015/12/10/dentro-la-macchina-architetture-dellazzardo-di-natasha-dow-schull/137674/) _by Design: Machine Gambling in Las Vegas_ (noto in italia come _Architetture dell’azzardo_) Natasha Dow Schüll indaga proprio l’aspetto architettonico della dipendenza da gioco nei casinò. Secondo l’autrice, l’ambiente dei casinò e il design delle slot machine inducono volontariamente il giocatore allo stato patologico: le macchinette regalano molte più piccole vincite piuttosto che grandi montepremi proprio per invogliare l’utente a continuare a giocare. Un meccanismo simile governa le pagine dei nostri social media e giochi online preferiti, rendendoci sempre più dipendenti e coinvolti. [La ricerca di Urbano Reviglio](https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/2056305120915613), a cui ci eravamo affidati anche nello scorso episodio, getta una luce su questo aspetto:
«I _compulsion l_oops si trovano già in una vasta gamma di social media e soprattutto nei giochi online (Deibert, 2019). Le ricerche suggeriscono che tali loop possono funzionare tramite “rinforzi a tasso variabile “, in cui le ricompense vengono erogate in modo imprevedibile. Questa imprevedibilità influenza i percorsi della dopamina nel cervello in modi che ingrandiscono le ricompense. Inoltre, le sfaccettature del design innescano intenzionalmente i flussi di dopamina o altri sbalzi emotivi, stimolano il concorso di popolarità o gli obblighi sociali impliciti (Kidron et al., 2018) — utilizzano tutta una serie di hackeraggi cerebrali aggiuntivi, probabilmente molti dei quali non sono nemmeno noti al pubblico. Tra quelli conosciuti, l’indignazione morale può essere sfruttata per aumentare l’impegno. I ricercatori di psicologia della New York University (NYU) hanno scoperto che ogni parola di indignazione morale aggiunta a un tweet aumenta il tasso di retweet del 17% (Harris, 2019). A volte, gli utenti possono anche essere catturati in una spirale di contenuti sempre più estremi e cospiratori — noto anche come “effetto tana del coniglio».
I [_compulsion loop_](https://en.wikipedia.org/wiki/Compulsion_loop) sono alla base di questa logica: inizialmente compiamo un’azione (postare una foto) aspettandoci una ricompensa (likes, cuori, retweet), quando la ricompensa arriva l’utente è sempre più invogliato a fare ciò che è necessario per riceverla (postare un’altra foto). Questo genere di loop comportamentale funziona a livello biochimico tramite il rilascio di dopamina, un ormone e neurotrasmettitore legato alla percezione del piacere. I social media hanno bisogno della nostra attenzione per crescere e per questa ragione sfruttano meccanismi come i _compulsion loop_ per non farci smettere di scrollare. La strutturazione stessa dei social network si articola secondo protocolli molto precisi che sono frutto di scelte tecniche, di progettazione e design che potevano seguire logiche diverse e opposte. Proviamo ad immaginare un social network che tramite la sua stessa interfaccia inviti alla collaborazione, all’attenzione prolungata, al ricordare anche l’importanza del mondo offline. Proviamo ad immaginare e a progettare un social network che non si mantenga in vita secondo un modello di business che estrae e valorizza dati per poi scambiarli al miglior offerente. Come si diceva all’Atelier Populaire, esempio di design radicale: “IO, TU, NOI PARTECIPIAMO MA LORO CI GUADAGNANO”.
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«Dobbiamo progettare per la libertà, una libertà che mina attivamente le pressioni tecnologiche per condurre una vita prevedibile. Se questo non avviene, potremmo ritrovarci a vivere in un regime di credito sociale. Benvenuti nella società di Minority Report, una società in cui la prevenzione della deviazione è già stata interiorizzata in modo tale che la previsione non è più necessaria».
Quale speranza allora per il design? In che modo salvare una disciplina che pare condannata a fungere da lubrificante dei processi di produzione e consumo? Il Manifesto abbozza la visione di un design critico e consapevole, un design che contribuisca al _reincantamento_ e al futuro del pianeta. Un primo compito di questa ipotetica disciplina potrebbe essere proprio la visualizzazione dei processi che di solito il design finisce per coprire. E se il design ci aiutasse a vedere la brutalità dell’algoritmo? «Un altro esempio della nuova voglia di artigianato è l’hacking del design degli oggetti tecnicamente complessi che ci circondano. Dagli smartphone agli orologi Apple, dagli smart key finders agli assistenti digitali, tutti i gadget vengono sezionati per sondare criticamente il loro design». Aprire la scatola nera della tecnologia tramite la progettazione di nuovi strumenti. Altro slogan del Manifesto: LA FORMA SEGUE IL CODICE. L’invenzione di nuove forme deve allora per forza passare dalla comprensione di un nuovo codice: da qui passa la lotta alla distrazione organizzata. Giunta all’apice della sua crisi, la disciplina del design deve ora immaginare un mondo al di là del mero calcolo superando i suoi stessi criteri. «Designer, scoprite gli algoritmi! La strategia radicale dei designer è quella di progettare la scomparsa. Questa è la strana contraddizione che i designer con sensibilità visiva devono ora affrontare: come progettare l’invisibile? Ciò che va oltre l’ispezione? Progettare il presente computazionale richiede di progettare l’incomprensibile».
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L’unico riscatto possible per la falsa coscienza del designer passa attraverso il tradimento della mega macchina tecnologica a cui hanno contribuito per 40 anni: «In effetti, a meno che i progettisti non tradiscano il sistema che hanno contribuito a costruire, l’idea che possano essere evocate delle alternative non è altro che pura fantasia».
«La tecnologia ha pervaso tutto il campo del design, dall’architettura all’interaction design, dalla moda al product design, dalla grafica al gaming design. Sia i designer emergenti che quelli affermati devono trovare soluzioni per i problemi di privacy con cui si confrontano. Ci auguriamo che le violazioni della privacy siano un problema di design, ma spesso i designer sono meri esecutori di decisioni strategiche prese ben prima di essere impiegati»
La falsa coscienza si supera passando all’autocoscienza, alla consapevolezza della miriade di conseguenze implciite nella progettazione di nuovi artefatti. Gli autori dell’Amsterdam Design Manifesto non solo gli unici sutdiosi dell’ambiente ad aver invocato una simile svolta. Il movimento dello Speculative Design, presentatno nel testo “[Speculative Everything](https://mitpress.mit.edu/books/speculative-everything)” di Anthony Dunne e Fiona Raby, definsice così il design critico:
«Chiamiamo design critico, un design che mette in discussione le implicazioni culturali, sociali ed etiche delle tecnologie emergenti. Una forma di design che può aiutarci a definire i futuri più desiderabili, ed evitare i meno desiderabili.»
In questo nuovo frame, in questo design reincantato, la progettazione non riguarda solamente l’artefatto che vedrà la luce quanto più un intero contesto sociale e antropologico: per quale tipo di persona viene progettato un tale prodotto? In quale tipo di realtà sociale si colloca? Che tipo di enunciazioni causerà nella società? Un pensiero _design-oriented_ ritrova nel problema più che nella soluzione la sua ragion d’essere. È attraverso la problamatizzazione di determinate situazioni che arriviamo a definire i concetti con i quali è meglio lavorare. Ancora il Manifesto: «Come si relazionano gli uomini con il loro ambiente _smart_? Ignorarete gli standard e le piattaforme, e prendete in modo collaborativo la ruota dello sviluppo tecnologico!».
La deflazione del design non riguarda solo il mondo tecnologico: «Il design del nostro ambiente, la qualità del nostro cibo, la strutturazione e l’accessibilità delle nostre informazioni — tutti questi sono oggi importanti temi di design, accanto al design della natura, al design della moda sostenibile e al design dei comportamenti dei consumatori». Se non riprogettiamo il nostro mondo attraverso nuovi principi — una nuova metafisica — finiremo per scomparire. Il design attualizza concretamente un sistema di ideali: senza un nuovo design non può esistere un reincantamento del mondo, una trasvalutazione dei valori.
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L’industria creative nasconde meri interessi economici e discutibili alleanze politiche. Il sogno di conoscenza libera di Google è diventato l’incubo del capitalismo della sorveglianza. La credibilità etica del mondo color pastello della Silicon Valley è sotto zero. E’ tempo che il design diventi un’impresa collettiva per progettare e realizzare gli strumenti di un futor migliore. Un esempio di design critico può essere Privacy Possum, componente aggiuntivo per i browser di navigazione, che impedisce agli utenti di essere tracciati dalla maggior parte dei cookies. Ma se tutto è design allora è tempo di progettare non solo nuovi dispositivi tecnologici ma nuove istituzioni e nuove relazioni. Perché non pensare a una rete di collettivi contro la sorveglianza digitale? O a indossare abiti che impediscano il tracking facciale? Tutti questi strumenti furono chiamati da Ival Illich già negli anni ’70 _tools for conviviality_: nel omonimo libro lo studioso invocava la necessità di una progettazione volta a rendere gli uomini più liberi, autonomi e realizzati invece che divisi in padroni e schiavi. Il processo di mutazione che io chiamo REINCANTAMENTO non passa dunque solo da un cambio di idee o di visione del mondo ma dall’attuazione di questa nuova metafisica in specifici artefatti umani di ogni tipo. Il REINCANTAMENTO è un processo materiale proprio perché sono materiali le basi di ogni pensiero.
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_Questo piccolo testo nasce nella mattina di martedì 2 giugno 2020. Il silenzio poteva essere un’opzione migliore._
Per chi avesse passato l’ultima settimana in isolamento, un piccolo riassunto: gli Stati Uniti d’America sono in fiamme in seguito all’omicidio del quarantenne afroamericano George Floyd, assassinato dalla polizia a Minneapolis. Con le colonne di fumo che si alzavano vicino ai cancelli della Casa Bianca, il suprematista bianco che siede nello Studio Ovale è stato costretto per qualche ora a rifugiarsi nel bunker presidenziale. Il giorno successivo, invitava i Governatori di “estrema sinistra” ad agire con la forza contro i manifestanti minacciando di inviare la polizia. Era dalla morte di Luther King che gli USA non vivevano una sommossa tanto ampia e solo i riots di Los Angeles del 1992 si erano avvicinati agli eventi di questi giorni. Rispetto al 1968 o al 1992, gli USA del 2020 sono una società altamente digitalizzata: questo elemento aggiunge un ulteriore elemento di complessità e al tempo stesso ci permette di immedesimarci come non mai nelle lotte del popolo afroamericano. Come abbiamo ribadito spesso qui su REINCANTAMENTO, la tecnologia non ha colore e in questi giorni vediamo sia l’applicazione di nuove forme di controllo che l’emergere di tecnologie “resistenti”. Cerchiamo di astrarre dalla frenesia degli eventi qualche riflessione, concentrandoci sulle voci delle comunità colpite.
Traccia estratta dall’ultimo album di Freddie Gibbs uscito lo scorso venerdì che risuona profondamente negli eventi di oggi
La scintilla per il divampare delle proteste negli USA e della solidarietà nel resto del mondo è stata la diffusione del _video_ dell’omicidio razzista di George Floyd. Il video è diventato immediatamente virale sui principali social media superando tutti i confini e diventando _trend topic_ praticamente in tutti il mondo. Non è la prima volta che accade e la frequenza di questi episodi la dice lunga sulla violenza sistemica degli Stati Uniti: solamente a Febbraio [il video di Ahmaud Arbery](https://www.buzzfeednews.com/article/salvadorhernandez/video-ahmaud-arbery-shooting-jogging) si è rivelato fondamentale in tribunale per mostrare un altro omicidio di natura razziale. Ancora, nella notte di mercoledì 6 maggio (!) ad Indianapolis [un fermo di polizia per alta velocità si è trasformato in un altro omicidio:](https://www.washingtonpost.com/nation/2020/05/07/indianapolis-shooting-livestream-facebook/) la vittima è il 21enne Sean Reed a cui sono stati sparati 13 colpi. I testimoni? Le 4000 persone connesse in diretta Facebook sulla live di Reed che dopo essere incappato nei poliziotti inizia a chiedere aiuto ai suoi followers: “Please come and get me!” ripeteva. _Qualcuno mi venga a prendere_. Non sarebbe arrivato nessuno, nessuno pronto a concretizzare quell’interazione digitale nella vita reale, magari rischiando la vita. Nella comunità afroamericana la diffusione e la condivisione di materiali del genere hanno sempre generato dibattiti e l’enorme impatto del filmato che riprende George Floyd non è stato da meno. In un primo momento, c’è una sorta di sollievo nel vedere i propri traumi finalmente pubblici e condivisi da tante persone. Finalmente anche _loro_ sanno. Finalmente diventa di pubblico dominio la realtà di oppressione che attraversa la prima potenza mondiale da tanto, troppo tempo. Le vite quotidiane di tanti afroamericani sono rovinate in profondità dai traumi del razzismo che possono [portare a disturbi psicologici gravi come la depressione](https://www.psychologytoday.com/us/blog/culturally-speaking/201509/the-link-between-racism-and-ptsd).
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Le proteste per la morte di Sean Reed ucciso da meno di un mese
Quando il trauma è trasmesso su tutti gli schermi del mondo però la depressione può acuirsi. Le immagini delle violenze diventano allora il sale sulle ferite. “Stop Sharing The George Floyd Video” dice Danny Cherry Jr. su Buzzfeed:
I neri americani non hanno bisogno di vedere quei video per sapere che questa merda continua. Sappiamo che va avanti. Sentiamo le storie delle nostre zie e dei nostri zii, dei nostri fratelli e sorelle, dei nostri nonni e dei nostri genitori che hanno vissuto attraverso Jim Crow. La discriminazione negli Stati Uniti d’America è americana come la torta di mele, e ogni americano di colore a un certo punto ha avuto una fetta.
O ancora il giornalista Athian Akec su i-d uk:
Una parte fondamentale per affrontare questo tema, in modo controintuitivo, è fermare la condivisione delle immagini grafiche della morte nera. Per noi neri, essi svalutano la nostra vita, normalizzano le nostre morti e danneggiano la nostra salute mentale. Molti di questi video sono in circolazione. Chiedetevi, prima di condividerli online, perché questo dovrebbe essere d’aiuto? A chi sto facendo del male nel processo? In questi video vediamo le vite dei nostri fratelli e delle nostre sorelle portate via dall’odio omicida. Ci riempie di indescrivibili sentimenti di angoscia, dolore e miseria. Cercate invece di affrontare in modo proattivo le cause alla radice.
Le buone intenzioni sono chiare: pensiamo che condividendo quelle immagini aumenteremo la sensibilità dei nostri amici su Facebook stupendoli con la violenza della polizia americana. Questo può essere vero in parte. Ma data la natura dei nostri social network è ugualmente probabile che finiremmo per alimentare i contenuti della nostra filter bubble senza far cambiare idea a nessuno ma predicando solo ai convertiti. Intanto, gli schermi dei dispositivi di mezzo mondo riproducono gli stereotipi che abbiamo sui corpi neri, rinforzando in loop quello del nero in manette e altri _bias_ che inconsciamente incombono sui nostri comportamenti. La potenza delle immagini è stata un’arma dei movimenti di liberazione e le lotte afroamericane non fanno eccezione. Per esempio, quando il quattordicenne Emmett Till fu assassinato in Mississippi nel 1955, sua madre decise di mostrare al mondo la brutalità del linciaggio con un funerale a bara aperta.
Come afferma lo studio “Freedom on My Mind: A History of African Americans, with Documents”:
Il funerale a bara aperta tenuto da Mamie Till Bradley ha esposto il mondo a qualcosa di più del corpo gonfio e mutilato del figlio Emmett Till. La sua decisione ha focalizzato l’attenzione non solo sul razzismo statunitense e sulla barbarie del linciaggio, ma anche sui limiti e le vulnerabilità della democrazia americana.
Tuttavia, nel caso di Till si trattava di una decisione deliberata della famiglia volta a mostrare le atrocità subite da un proprio parente. I video virali sul web assomigliano più a schegge impazzite che a progetti deliberati e possono peggiorare il processo di lutto delle famiglie coinvolte. Un dibattito del genere può esistere solo nell’epoca dell’iper-connessione in cui viviamo, a maggior ragione se parliamo dello Stato più sviluppato del mondo.
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La signora Till al funerale del figlio
Alle immagini di crudeltà sono seguite le immagini della rabbia e delle rivolte. Le manifestazioni statunitensi sono state oggetto di molti livestream, sia amatoriali sia professionali, sia dei grandi canali che indipendenti (come l’ottimo [Unicorn Riot](https://unicornriot.ninja/)). È chiaro che l’aspetto spettacolare ed estetico sia particolarmente forte quando si parla degli Stati Uniti. Un po’ perché vediamo il caos diffondersi nel cuore dell’impero. Un po’ perché è la stessa natura della società americana ad alimentare la spettacolarizzazione. Rispolverando un classico della teoria critica francese, _La società dello spettacolo_ di Guy Debord del 1968 (stesso anno dell’uccisione di King), troviamo qualche consiglio su come navigare il fiume di contenuti che ha invaso e continuerà a fluire sui nostri feed. Il teorico francese associava allo sviluppo materiale delle società capitalistiche un parallelo sviluppo dei mezzi di comunicazione e della diffusione di immagini. La prima tesi del suo lavoro afferma:
Tutta la vita delle società in cui regnano le moderne condizioni di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di **spettacoli**. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione.”
Nella società che ha inventato la pay-tv, i servizi in streaming e i _reality show_ c’è il rischio che anche la più grande rivolta anti-razzista degli ultimi cinquant’anni finisca per essere raccontata come una puntata di House of Cards. Non facciamoci sottomettere dalle immagini e cerchiamo le parole e i racconti di chi sta lottando in prima fila. Non cediamo alla condivisione compulsiva e pensiamo quali conseguenze hanno i nostri post per le persone coinvolte. Supportiamo e doniamo alle comunità colpite. Non facciamo si che la distanza fisica diventi _separazione_. Non facciamo sì che la mediazione dei nostri schermi ci allontani dalla forza delle lotte. Trump sta provando a coprire la voce del suo popolo con i suoi tweet improbabili o con il penoso discorso tenuto con la Bibbia in mano.
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Trump gioca con una Bibbia. In sottofondo le sirene della polizia disperdono i cittadini
Senza teorizzare troppo, quello è lo Spettacolo. La realtà sono le voci dei manifestanti gassati a meno di un chilometro dal Presidente. Ascoltiamole.
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Da lunedì 8 giugno sta succedendo qualcosa di importante a Seattle. Dopo una settimana di intense proteste, il Sindaco Jerry Durkan ha ordinato alle forze dell’ordine di lasciare l’area dell’East Precinct in modo tale da calmare gli animi e permettere uno svolgimento più pacifico delle manifestazioni.
In uno sforzo proattivo per disinnescare gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine fuori dall’East Precint, il capo Best e il Dipartimento di polizia di Seattle hanno rimosso le barricate che circondavano l’East Precincnt mettendo in sicurezza l’area.
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Scontri tra manifestanti e polizia il 7 giugno a Seattle
Il gesto del sindaco ha segnato una faglia nello svolgersi delle proteste, segnando l’inizio di quella che è stata chiamata Capitol Hill Autonomous Zone, per gli amici CHAZ. I manifestanti hanno preso controllo di un’area piccola che comprende un paio di isolati nel quartiere di Capitol Hill, nella zona est di Seattle. Capitol Hill è un quartiere storicamente progressista, fondamentale per la scena grunge cittadina e uno dei più importanti quartieri LGBTQ d’America sin dagli ’60. Di recente, è stato uno dei quartieri più colpiti dalla gentrificazione della metropoli del Nordovest. Quando nella nottata di lunedì la polizia si è allontanata dall’area, i manifestanti hanno innalzato delle barricate — ancora modeste e superabili — e soprattutto hanno dichiarato “zona autonoma” il circondario. Come si legge dai report dei testimoni, la sensazione è di trionfo: i manifestanti guadagnano spazio man mano che la polizia si allontana.
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In giallo l’area occupata
Immediatamente, la notizia viene annunciata su Twitter. L’impatto comunicativo è oggettivamente forte: pur trattandosi solo di uno spartitraffico con un cartello di cartone attaccato sopra, la prima immagine che arriva ai social media è potente come quella di un Arco di Trionfo. Nel cuore di una metropoli occidentale la _exit option_ prende vita: gli Stati Uniti sono uno stato fallito, dilaniato da una pandemia e da una guerra civile mai davvero terminata. Il fallimento è così radicale da rendere ogni tentativo di riforma inutile. L’ultima chance del riformismo americano era Bernie Sanders. Il suo fallimento politico è il primo catalizzatore della rivolta di oggi. Il secondo è, ovviamente, il virus incoronato che ha paralizzato il mondo. A Seattle emerge quella che forse oggi è l’unica strategia possibile: il ritiro dallo Stato, la dissoluzione dei legami di sovranità fino ad ora vigenti. Lo si capisce dal materiale che ci arriva da quei luoghi: cartelli che dicono “THIS SPACE IS NOW PROPERTY OF THE SEATTLE PEOPLE” o “You’re now leaving USA”.
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“State lasciando gli Stati Uniti”
Il Seattle Police Department che diventa Seattle People Department. La proprietà dello Stato o del Governo Federale è, semplicemente, abolita. Non si riforma, si destituisce. Non è forse una lezione dell’intero movimento Black Lives Matter? La richiesta di ridurre i fondi alla polizia non è uguale a chiedere l’abolizione delle forze dell’ordine. Ridurre i fondi è un modo progressivo di _destituire_ un’istituzione. Nel tempo, con sempre meno fondi, essa diventerà semplicemente inutile e superflua.
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Il nuovo nome del dipartimneto di polizia di Seattle
Non si tratta di una strategia unicamente difensiva. Come diceva Gilles Deleuze: «_È possibile che fugga, ma nel corso della mia fuga cerco un’arma_». La fuga dagli Stati Uniti della CHAZ è una fuga che straborda i confini del quartiere occupato per riversarsi sull’intera città. È quello che è avvenuto nella nottata di martedì 9 quando centinaia e centinaia di manifestanti hanno occupato per più di un’ora il Municipio di Seattle. I manifestanti sono entrati cantando “Whose City Hall? Our City Hall!” (di chi è il municipio, è il nostro municipio): dalla CHAZ l’onda di destituzione e riapporpriazione arriva al cuore della città. Il Municipio occupato è il Municipio destituito: come si sente dalle parole dei manifestanti, un municipio che ha servito politici corrotti privi di interesse reale nei confronti delle comunità afroamericane merita soltanto il fallimento.
La folla entra nel Municipio chiedendo le dimissioni del sindaco.
«Ciò che abbiamo sconfitto qui è l’establishment politico di questa città. La nostra lotta non è solo contro la polizia, la nostra lotta è per un cambiamento di sistema» dice Khsama Sawant, uno dei portavoce del movimento. Il re è nudo. La gentrificazione e la violenza poliziesca sono due braccia dello stesso corpo, non si ferma una senza fermare l’altra. Dopo l’incursione al Municipio, i manifestanti ritornano alla CHAZ e proiettano il documentario “13th”: si tratta di un eccellente resoconto dei legami strutturali e intrinseci tra razzismo di Stato ed economia di mercato. Black Lives Matter è consapevole che i flussi di denaro richiedano la prigionia di centinaia di migliaia di afroamericani. Il sistema non è rotto: esso funziona al meglio delle sue possibilità quando esprime tutto l’orrore raccontato in “13th”. Non si può più riformare, solamente destituire. Su Medium viene postata [una lista di 30 richieste](https://medium.com/@seattleblmanon3/the-demands-of-the-collective-black-voices-at-free-capitol-hill-to-the-government-of-seattle-ddaee51d3e47) provenienti dalla CHAZ. Il primo punto recita: **The Seattle Police Department and attached court system are beyond reform. We do not request reform, we _demand_ abolition.**
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Alcune richieste della comunità nera della CHAZ
Seguono altre richieste sulla giustizia, dall’abolizione del carcere minorile ai risarcimenti per le vittime della polizia, decriminalizzazione e amnistia per tutti i manifestanti, liberazioni dei prigionieri legati a spaccio di marijuana e altro ancora. Economia e salute sono altrettanto importanti: stop alla gentrificazione di Seattle, tetto massimo agli affitti, fondi alla cultura, assunzione di medici e infermieri etc. Un programma ampio e di lungo respiro che potrebbe mutare profondamente la società americana al prezzo dell’abolizione dello stato di cose presente. Il destino reale della CHAZ è ancora ignoto e si deciderà ora dopo ora. Mentre le autorità cittadine sembrano voler cercare una pacificazione con gli insorti, evitando l’isolamento sia fisico che psicologico della CHAZ, di altro avviso è, come prevedibile, il suprematista bianco dello Studio Ovale.
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Nei suoi tweet invoca “Legge ed Ordine” contro gli anarchici di Seattle lasciati troppo liberi dai politici democratici di “estrema sinistra”. [La rivista The Stranger](https://www.thestranger.com/slog/2020/06/10/43884077/the-future-of-capitol-hills-new-autonomous-zone-is-predictable) vede due opzioni: istituzionalizzarsi o essere distrutti. La strategia di soft power del governo locale ha consistito finora nel mantenere pulito e raggiungibile il quartiere occupato: dietro a questo volto buono del potere, diverso dal mostro trumpiano, si nasconde comunque la fedeltà agli speculatori. La gentrificazione di Capitol Hill non va fermata, oltre ogni possibile sbandata politica dei manifestanti, e persino questa ribellione potrebbe essere un’occasione proficua per gli speculatori immobiliari. Alla CHAZ comunque si sta costruendo qualcosa. [Un altro reportage di The Stranger](https://www.thestranger.com/slog/2020/06/11/43888539/an-exceedingly-chill-day-at-the-capitol-hill-autonomous-zone) parla della giornata dell’11 giugno come di un “chill day”: distribuzioni di libri di autori neri e indigeni, artisti che dipingono le strade e persino pizza gratis. La comunità cresce e si prende cura dei suoi membri: sono stati in molti a sottolineare come sia un’esperienza terapeutica dopo i giorni stressanti e violenti delle manifestazioni, dove la Seattle Police Division ha adottato un approccio intimidatorio e muscolare. Destituzione e cura contro violenza di stato e depressione.
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Una giornalista del The Stranger fa il verso al Presidente, mostrando le pericolose azioni degli anarchici
Nella scorsa puntata di REINCANTAMENTO, avevo citato la Società Dello Spettacolo di Guy Debord. In questi giorni ho trovato [un articolo del 13 agosto 1965](https://www.cddc.vt.edu/sionline/si/decline.html) firmato dal grande teorico francese in occasione dei [Watts Riots](https://en.wikipedia.org/wiki/Watts_riots), una rivolta della comunità afroamericana avvenuta in seguito — ma guarda un po’ — a violenze della polizia su una donna incinta. Le parole conclusive di Debord nell’articolo sembrano adatte anche agli avvenimenti di Seattle, al moto desitutivo e reale che mette in crisi la presidenza reality-show di Donald Trump:
_Una rivolta contro lo spettacolo — anche se limitata a un singolo quartiere come Watts — mette tutto in discussione perché è una protesta umana contro una vita disumanizzata, una protesta di individui reali contro la loro separazione da una comunità che realizza la loro vera natura umana e sociale e trascende lo spettacolo._
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Bentornate, bentornati su REINCANTAMENTO. L’episodio di oggi esplora un possibile percorso verso un reincantamento del mondo: la via psichedelica. Cambiare il modo di vedere la realtà, ribaltare la prospettiva presente, è il significato principale della pratica di riflessione qui chiamata _reincantamento_. Le esperienze psichedeliche nel corso della loro millenaria storia hanno contribuito a capovolgere i punti di vista preesistenti, diluendo gli automatismi e i _bias_ della mente umana fino a portare alcuni individui ad esperienze mistiche e persino rivelatrici. Sostanze come la psilocibina (contenuta nei funghi allucinogeni), il peyote, l’ayahuasca, la mescalina, l’LSD e la DMT sono in grado di causare esperienze molto intense, il cui _senso_ va al di là del semplice divertimento o, peggio, dell’intossicazione auto-distruttiva.
Negli ultimi anni, il mondo della cultura e quello della ricerca medica (soprattutto in ambito psichiatrico) stanno vivendo un vero e proprio _Rinascimento Psichedelico_ con un rinnovato interesse verso la storia e le esperienze associate a queste sostanze. L’attuale fermento ha prodotto libri di valore come [_Trip_](https://www.esquire.com/it/cultura/libri/a28183503/lsd-pollan-libro/) di Tao Lin, _Come cambiare la tua mente_ del giornalista Michael Pollan e l’italiano [_LSD_](https://www.esquire.com/it/news/attualita/a20099155/lsd-droghe-psichedeliche/) di Agnese Codignola. Inoltre, in Italia è stato di recente ripubblicato _LSD, il mio bambino difficile_ di Albert Hoffman, testimonianza dello scienziato che ha inventato la sostanza psichedelica per eccellenza.
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Il sole psichedelico irradia il mondo di una luce brillante, di un bagliore alieno che modifica la nostra percezione delle cose. Reincantare il mondo è una pratica acida: per immaginare un’altra realtà, con altri assiomi metafisici, è necessario alleggerire e persino abbandonare gli schemi mentali con cui spieghiamo il nostro mondo. Operare questo cambiamento non è facile. L’essere umano si rifugia nelle sue abitudini e nei suoi schemi di pensiero da tutta la sua storia. Erigiamo cattedrali e costrutti sociali per illuderci che ciò che ci circonda sia eterno ed immutabile. È una strategia utile, una forma di resistenza e adattamento che ci ha portato a sopravvivere per millenni. Per questo motivo, per raggiungere quel cambiamento di prospettiva che chiamiamo reincantamento abbiamo bisogno di strategie e catalizzatori. La psichedelia è uno di questi. L’esperienza psichedelica, inoltre, ha la particolarità di essere soggettiva pur causando uno slittamento di alcuni parametri oggettivi della realtà. In questa paradossale doppia natura della psichedelia si nasconde una chiave preziosa per comprendere ed espandere l’idea di reincantamento. Un mondo reincantato è un mondo che ha attraversato un cambio di atmosfera, un mondo attraversato da una luce diversa. Perché si dia questo _switch_ non basta una presa di coscienza intellettuale, per quanto sia collettiva: il reincantamento va sentito. Va avvertita una viscerale mutazione della percezione della struttura della realtà e delle sue possibilità intrinseche. I raggi obliqui del sole psichedelico rimescolano chimicamente il nostro sé: a livello interiore si attiva un’alchimia spirituale e mentale che può dare vita a nuove e inedite prospettiva.
«La psichedelia è il vero opposto della nostalgia, il contrario di ricordare è allucinare»
L’idea di alchimia spirituale affonda le sue radici nel sufismo, la dimensione mistica dell’Islam: i saggi sufi cercavano un avvicinamento a Dio ma erano consapevoli di come la conoscenza teorica e dottrinale non fosse sufficiente per i loro scopi. Si rendeva necessaria anche una modificazione della volontà. L’alchimia spirituale era il nome dato a questo processo di modificazione interiore, articolato in varie fasi che ricordano, anche a livello di linguaggio, i resoconti di chi ha assunto sostanze psichedeliche. Si parla di “liquefazione” dell’anima, di raggiungimento di una maggiore plasticità psichica e di una consapevolezza cosmica. Del resto, [è noto](https://www.indiscreto.org/psichedelia-e-razionalita-per-un-ritorno-alla-mistica/) ed esplorato il legame tra psichedelia e misticismo: un altro nome per queste sostanze è _enteogene,_ che significa letteralmente “ciò che manifesta Dio”. Il reincantamento non è una pratica religiosa né presuppone l’esistenza di qualsivoglia essere superiore o trascendentale. Tuttavia, l’alchimia spirituale della psichedelia non può che avvicinarci all’ineffabile del mondo, al _surplus_ della realtà materiale che sfugge perennemente ad ogni razionalizzazione. Edoardo Camurri, [nella sua prefazione](https://www.doppiozero.com/materiali/rendersi-unici-psichedelia-e-visione) agli scritti acidi di Aldous Huxley, colloca la psichedelia in una battaglia millenaria tra un pensiero audace e gioioso, sperimentatore e ardente di verità, e le “forze della chiusura”, i limiti che la mente e l’organizzazione umana pongono per mantenersi stabili. La genealogia tracciata da Camurri arriva fino al filosofo neoplatonico Plotino, il cui pensiero sembra illuminato da una luce altra e legato ad un _sentire_ (prima ancora che ad un intendere) differente: «Nel mondo intelligibile, che è il mondo delle idee platoniche, tutto risplende; di conseguenza, la cosa più bella nel nostro mondo è il fuoco».
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Leggendo i resoconti di persone che hanno vissuto un’esperienza psichedelica, accade spesso di notare paragoni tra il trip e la propria infanzia, di leggere dichiarazioni di persone che si “sentivano come bambini”, stupendosi di tutto ciò che li circondava. Non si tratta solo di una sensazione temporanea ma di un sentimento di rinnovamento che persiste anche nei giorni successivi all’esperienza (il cosiddetto _afterglow_). Come spiegare questo sentimento diffuso? Carlo Mazza Galanti [nella sua recensione su Esquire](https://www.esquire.com/it/cultura/libri/a28183503/lsd-pollan-libro/) del libro di Michael Pollan lo spiega in modo semplice:
_«Gli psichedelici attivano circuiti profondi e primari del cervello conferendo “neuroplasticità” e differenziando le aree e le connessioni laddove nella vita “normale” si tende a specializzare sempre più strettamente le aree e i tracciati cerebrali, limitando le connessioni solo a quelle che servono. Insomma, e in fondo piuttosto banalmente, l’abitudine ottunde la percezione e la vivacità mentale, ci rende efficienti ma ripetitivi e poco disposi all’imprevisto: gli psichedelici aggiungono entropia e libertà nei movimenti delle nostre sinapsi riavvicinandoci alla freschezza e alla plasticità del cervello dei bambini e dei creativi. Fare un trip è come dare uno scossone, un “ricablaggio”, un “reset” o “control-alt-delete biologico” (tutte metafore tratte dal libro, il cui carattere tecnologico-informatico meriterebbe di essere considerato in una riflessione a parte) della mente che ci permette di uscire dai tracciati correnti e di pensare il mondo e noi stessi in termini nuovi e potenzialmente più sani»._
Il libro di Pollan in effetti ha il merito di riportare l’attenzione su alcune ricerche svolte sin dagli anni ’50 fino al periodo del “panico morale” di metà anni ’60. In queste ricerche LSD e psilocibina venivano usate, con risultati spesso soddisfacenti, per curare l’ansia, la depressione e le dipendenze. Lo “shock” psichedelico riattiva lo stupore nei confronti del mondo e diluisce gli schemi e la ricorsività a cui la depressione o l’alcolismo costringono. Come articolare una terapia mediante psichedelici è ancora oggetto di discussioni nella comunità psichiatrica e queste sostanze, nonostante i risultati incoraggianti, restano ancora illegali.
Eppure, al di là dei dibattiti clinici, i trip ci insegnano la plasticità e la mutabilità del reale. Gli schemi in cui imbrogliamo il mondo, quella che abbiamo più volte chiamato “metafisica”, tendono proprio all’opposto, annullando l’aspetto differenziale della realtà e presentando l’esistente come l’unico mondo possibile. In questo fatalismo, i sistemi sociali ci sembrano eterni, persino divini, e non frutto di organizzazioni umane e storiche. Il compianto critico culturale Mark Fisher definiva ‘realismo capitalista’ il fatalismo tipico della società odierna e frutto di un’illusione _prospettica_ che ci priva di qualsivoglia alternativa. Negli ultimi anni della sua vita, Fisher aveva rivolto la sua attenzione proprio al mondo della psichedelia, vedendo in essa un’alternativa al disincanto del mondo neoliberale. Il critico lavorava ad un libro dal titolo [_Acid Communism_.](https://transmediale.de/content/building-acid-communism) La coscienza psichedelica emersa nella controcultura tra gli anni ’60 e ’70 ha portato una generazione a cambiare prospettiva sul mondo e ad avvicinarsi a quell’ineffabile che fuggiva a tutte le misurazioni del mondo precedente. Il desiderio catalizzato dall’acido ha destabilizzato le rigide linee di faglia della società fordista, della società dei consumi e della famiglia nucleare ed edipica. La sperimentazione con queste sostanze ha contribuito a generare una voglia nuova di sperimentazione, una ricerca di forme di vita inedite e un generale ribaltamento dei costumi usuali. E sotto questa nuova luce, il mondo di ieri rivelava la sua contingenza. Non si trattò di una rivoluzione, [sottolinea Fisher](http://effimera.org/verso-lacid-communism-presa-coscienza-post-capitalismo-mark-fisher/#iLightbox[gallery5833]/0), ma si generò una sorta di _impazienza_ verso il mondo dell’epoca e una presa di coscienza collettiva dei crimini commessi da quella società. Inoltre, la coscienza psichedelica dello scorso secolo ha diffuso e democraticizzato problemi metafisici, come la plasticità del reale e la questione della percezione. Mai come allora questi problemi filosofici, indagati sin dai tempi di Plotino, avevano permeato la consapevolezza di milioni di persone, anche al di là del loro personale consumo di sostanze.
Il termine impazienza, usato da Fisher, è estremamente pertinente perché evidenzia il carattere di visceralità della coscienza psichedelica. Infatti, durante un _trip,_ è comune sentire una forte connessione ed empatia nei confronti delle altre forme di vita e degli ambienti che ci circondano. La psichedelia sviluppa una sorta di _olismo_ intensificando la sensazione di essere parte di un Tutto armonico.
I nostri tempi, sembra quasi banale ribadirlo, hanno un disperato bisogno di scosse di radicale empatia. Le stragi di migranti che avvengono a largo delle nostre coste e il quotidiano ecocidio del pianeta si consumano nella totale indifferenza della maggior parte della popolazione e nella tragica complicità dei governi. Non solo l’empatia è assente, ma, ancora peggio, l’empatia viene manipolata dai social media e dalle aziende che li possiedono. Basti pensare agli eventi dell’ultimo anno e mezzo e all’enorme interesse scoppiato, quasi all’improvviso, verso la questione ambientale prima e, più di recente, con l’omicidio di George Floyd, verso il razzismo sistemico negli Stati Uniti d’America e non solo. Quasi come degli eventi di engagement coordinato queste settimane di indignazione, sono state tanto intense quanto brevi. Per la maggior parte delle persone sono scomparse tanto dalla memoria quanto dai feed social, sostituiti dagli ultimi trend dell’algoritmo. L’omogeneità imposta dagli algoritmi dell’industria, di cui abbiamo discusso nell’[episodio 4](https://medium.com/@alessandrolongo_1883/reincantamento-episodio-4-il-destino-dellalgoritmo-15965c4b651b), è diametralmente opposta rispetto all’impazienza psichedelica e all’empatia acida. Questa tecno-mentalità si oppone all’espansione e alla dilatazione del sentire psichedelico.
Non è un caso che gli Stati Uniti d’America abbiamo iniziato a risvegliarsi sull’orrore del Vietnam proprio in contemporanea con il trip collettivo dei _sixties_. La cultura acida ha allargato il campo della percezione e dell’empatia facendo _sentire_ maggiormente quali dolori esistevano nella società, oltre ogni dispositivo di controllo. Il filosofo francese Gilles Deleuze, nella sua intervista postuma _Abécédaire_, da una risposta illuminante sull’idea di percezione _espansa_. Quando l’amica Claire Parnet gli chiede cosa abbia significato per lui (intellettuale atipico) essere di sinistra, Deleuze risponde:
«Se mi si chiede come definire la sinistra, essere di sinistra, direi due cose. Ci sono due modi. E anche qui è innanzitutto una questione di percezione. C’è una questione di percezione: cosa vuol dire non essere di sinistra? È un po’ come un indirizzo postale. Partire da sé, la via dove ci si trova, la città, lo Stato, gli altri Stati e sempre più lontano. Si comincia da sé nella misura in cui si è privilegiati, vivendo in paesi ricchi, ci si chiede: come fare perché la situazione tenga? […] Essere di sinistra è il contrario. […] Vedi prima di tutto all’orizzonte, e sai che non può durare. È impossibile che questi miliardi di persone che crepano di fame… Può durare ancora cento anni, non so, ma non si deve esagerare, è l’ingiustizia assoluta. Non è tanto in nome della morale. È in nome della percezione stessa. Se si comincia dal limite, ecco, si è di sinistra. E in un certo modo si aspira… si capisce che sono quelli i problemi da risolvere. Essere di sinistra è sapere che i problemi del terzo mondo sono più vicini a noi dei problemi del nostro quartiere. _È veramente una questione di percezione, non di anime belle, no. Prima di tutto è questo per me, essere di sinistra_».
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L’orizzonte a cui accenna Deleuze è quello di un movimento che “[offre cura incondizionata senza comunità](http://zeffimera.org/abbandonate-ogni-speranza-lestate-sta-arrivando-di-mark-fisher/) (non importa da dove vieni o chi sei, ci prenderemo cura di te comunque)”. Illuminato dalla luce iridescente del Sole psichedelico, il mondo appare più unito nell’insieme delle sue parti, connesso da un radicale sentire comune. La coscienza acida è maggiormente consapevole del brulicare di _altre menti_ e _altre prospettive_ tutto intorno a noi. L’ego umano è ridimensionato, le sue ferite narcisistiche ricalcate: sotto la luce acida di questo mondo non siamo che creature uguali a tutte le altre. Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti gli altri: comprendere profondamente una verità, all’apparenza così banale, addirittura scontata per la scienza moderna, è un passo arduo in cui il catalizzatore psichedelico ci aiuta. Le distinzioni nette che la mente rafforza nel corso di una vita si affievoliscono e nuove, inedite connessioni si saldano. Il mondo si riapre allo stupore e alla meraviglia oltre ogni calcolo, la plasticità e il divenire prendono il posto della rigida fissità che sembra strutturare l’esistente. Nuovi punti di vista liquefatti aprono gli occhi su un mondo _reincantato_.
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_Bentornate, bentornati su REINCANTAMENTO. Finalmente, ritorniamo in questo spazio dopo un periodo troppo lungo di assenza. REINCANTAMENTO però in questo autunno non si è fermato: ho partecipato all’inaugurazione di_ [_Fondo_](https://www.facebook.com/Fondo-103855224674828/?ref=page_internal)_, uno spazio artistico e curatoriale a Torino. In parte poi, la nostra riflessione è proseguita per frammenti_ [_sulla pagina Instagram,_](https://www.instagram.com/re.incantamento/) _dove ho cercato di riportare cronache, opere d’arte e altro ancora per raccontare più concretamente il grande campo di forze delle tecnologie digitali e i due poli che lo animano: l’apertura magica e la chiusura tecnica. In questa puntata tenteremo di unire alcune di queste tracce._
Nella trilogia dei Tre Corpi, una delle migliori opere di fantascienza del XXI secolo, lo scrittore cinese Liu Cixin descrive il primo contatto dell’umanità con una razza aliena. Una delle tante sensazioni che Cixin riesce a trasmettere in modo magistrale è l’incomprensibilità: quello strano sentore che ci pervade quando ci troviamo di fronte all’Altro, al radicalmente diverso. Nei romanzi di Cixin questo feeling emerge davanti alla razza aliena di Trisolaris, che ragiona in un modo impensabile e impenetrabile per i nostri occhi umani. Ma non vogliamo parlare a lungo della trilogia dei Tre Corpi: prenderemo in prestito soltanto questo gelido brivido perturbante provato dalla razza umana davanti ad uno sguardo così estraneo perché ci riporta a questioni già trattate nella nostra rubrica.
La complessità tecnologica spesso può restituirci una sensazione simile. E’ difficile rimanere neutrali davanti alle risposte di GPT-3, una IA specializzata nel linguaggio umano, che può intrattenere conversazioni profonde come una persona colta. Come racconta Marco Mattei [in questo articolo](https://www.indiscreto.org/il-mistero-e-dentro-il-nostro-pensiero/), parlare con GPT-3 è un’esperienza disturbante, che può farci rabbrividire, come davanti agli alieni di Liu Cixin. Allo stesso modo, è difficile non impressionarsi davanti ad AlphaGo, l’ormai mitico software che gioca a Go, un antico gioco cinese, e che ha sconfitto con mosse imprevedibili tutti i campioni umani. Potremmo andare avanti con molti altri esempi che raccontano i progressi che le tecniche di apprendimento artificiale stanno raggiungendo nella nostra epoca.
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Estratto di una conversazione con GPT-3, screenshot proveniente [dall’Indiscreto](https://www.indiscreto.org/il-mistero-e-dentro-il-nostro-pensiero/)
La nostra società sogna da tanto tempo di poter riprodurre ed esternalizzare l’Intelligenza umana ([per qualcuno](https://mitpress.mit.edu/books/intelligence-and-spirit), questo è addirittura lo scopo finale della filosofia): questa fantasia porta con sé miti di totale oggettività, di scelte neutrali, precise e ‘migliori per tutti’. L’autonomia della tecnica ci affascina e ci tormenta sin dai tempi di Prometeo L’immaginazione di registi e autori ha dato vita a tante incarnazioni dell’idea di Intelligenza Artificiale Generale ed è difficile non associare gli attuali sviluppi tecnici con i sogni (o gli incubi) del nostro inconscio culturale. Se ci fermassimo qui però, non staremo guardando abbastanza da vicino. Staremmo davvero credendo ad un gioco di prestigio.
Vogliamo chiamare _incantamento illusorio_ questa rappresentazione mistificatoria e ideologica delle IA. Si tratta di un tipo di narrazione e significazione della tecnica opposta rispetto all’idea di reincantamento. Se reincantare la tecnologia vuol dire conoscerla, darle nuovi fini e nuovi mezzi; cedere all’incantamento illusorio significa invece fermarsi a quella patina superficiale e ideologica che si propaga dai nostri dispositivi fino alle parole dei grandi CEO californiani. L’incantamento illusorio della tecnologia è una strategia che finisce per alimentare le superstizioni, l’isteria o l’estremo ottimismo nei confronti dell’IA. Sia in caso di previsioni negative che di previsioni positive, finiamo per guardare al progresso tecnico come ad un grande e stupefacente Altro, di cui dobbiamo tradurre i pensieri e le volontà per prevedere il futuro. Per esempio, [quando Elon Musk](https://www.cnbc.com/2018/03/13/elon-musk-at-sxsw-a-i-is-more-dangerous-than-nuclear-weapons.html) dice che il problema delle IA è la “più grande crisi esistenziale che l’umanità ha di fronte”, peggiore persino delle armi nucleari, sta alimentando una superstizione dai sapori hollywoodiani. Lo scienziato cognitivo — e noto critico musicale sul web — Piero Scaruffi ha rifiutato con decisione le affermazioni di Musk sui progressi delle IA in [un’intervista su Pc Mag](https://www.pcmag.com/news/why-everything-elon-musk-fears-about-ai-is-wrong):
_Prima di tutto, vorrei sapere di che “IA” stanno parlando. Se parlano di tecnologia in generale, allora benvenuti nel club. C’è una lunga storia che risale almeno agli anni ’60 di filosofi, sociologi, e così via, che mettevano in guardia l’umanità dal pericolo della tecnologia. Ci sono pericoli nel modo in cui utilizziamo la tecnologia, sia che si tratti di energia nucleare che di computer. Perché dovremmo preoccuparci più dell’IA che delle armi nucleari? O delle reti di computer molto convenzionali e molto stupide che controllano i mercati finanziari globali? L’IA che conosco è un campo di ricerca affascinante, un ramo della matematica computazionale [ma] purtroppo è ancora all’età della pietra._
Scaruffi si occupava di IA negli anni ’80 per Olivetti: un progetto che ha finito per sprecare molte risorse dell’azienda informatica italiana a causa della fase di stallo della ricerca in quel periodo. Riguardo alla fase in cui ci troviamo ora, Scaruffi dice:
_I progressi nell’IA sono stati molto lenti e, recentemente, sono dovuti principalmente a tre fattori: Abbiamo finalmente dei set di dati molto grandi (ciò che serve per addestrare le reti neurali), Finalmente abbiamo processori molto veloci e convenienti (ciò di cui avete bisogno per eseguire reti neurali multistrato), Una delle principali società (la n. 1 o la n. 2 più apprezzata al mondo) ha fatto molto lavoro di PR per le IA_
Musk non è solo. Anzi, studiosi rispettati come Max Tegmark o Nick Bostrom alimentano tali fantasie ma con sfumature più entusiastiche, parlando di prossime fusioni uomo-macchina e di una ventura “esplosione di intelligenza”. Un tale atteggiamento reverenziale, quasi mistico, verso i progressi tecnologici, non è altro che una storia che finisce per nascondere la vera natura, così drammaticamente umana, dei suoi problemi. Probabilmente il maggiore rappresentante di questa scuola di pensiero è Ray Kurzweil, inventore e informatico californiano, noto ai più per il concetto di Singolarità. L’idea di Singolarità di Kurzweil si riferisce ad un momento singolare nel futuro in cui la tecnologia svilupperà le capacità di comprensione dei suoi inventori: per Kurzweil si tratta del momento in cui le intelligenze artificiali diventeranno generali e supereranno il ragionamento umano. Nel corso degli anni, Kurzweil ha fatto molte previsioni: se ha previsto correttamente la vittoria di una macchina contro un campione di scacchi (il match del 1997 DeepBlue vs. Kasparov), ha fallito altrettante volte, per esempio ritenendo che l’economia americana sarebbe continuata a crescere ininterrottamente a partire dal boom delle aziende dot.com nel 1998.
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La Singolarità: il momento in cui l’IA supera l’intelligenza umana
Kurzweil crede che raggiungeremo un’IA di scopo generale e il momento di Singolarità intorno al 2045. Gran parte dell’argomentazione di Kurzweil si basa sull’idea di progresso esponenziale della tecnica e sulla nota prima legge di Moore, secondo cui _“la complessità di un microcircuito, misurata ad esempio tramite il numero di transistor per chip, raddoppia ogni 18 mesi (e quadruplica quindi ogni 3 anni)”_. La legge di Moore è stata dichiarata più volte [“esaurita”](https://www.theverge.com/2018/7/19/17590242/intel-50th-anniversary-moores-law-history-chips-processors-future) e comunque il suo valore esplicativo non arrivava di certo a rendere scontata la realizzazione di un’intelligenza simil-umana (se non superiore).
Al di là dell’effettiva realizzazione della Singolarità (chi scrive è molto scettico), le idee di Kurzweil hanno un sapore messianico e la fiducia nella crescita esponenziale diventa qualcosa di molto simile ad una fede New Age. La Singolarità sembra configurare una palingenesi 2.0, un momento di rinascita e rinnovata armonia per l’umanità intera grazie al superamento dei limiti della tecnologia.
L’incantamento illusorio della tecnologia è un lavoro ideologico che opera una rappresentazione e un racconto dell’impresa tecnica nella direzione delle classi dominanti. Così, mentre la ricerca scientifica sulle IA è principalmente gestita da privati [con sempre più scarsa trasparenza](https://analyticsindiamag.com/lack-of-transparency-replicability-is-harming-research-in-ai/), si diffonde una _vulgata_ distorta, che anticipa o progressi immediati e straordinari o paure al momento infondate. L’hype che circonda queste tecnologie è stato sviluppato ad arte, come ricordava Scaruffi, e deve essere mantenuto costante per non far calare il flusso di denaro verso i progetti di ricerca. Con questo gioco di prestigio, si eludono i rapporti di potere e di produzione che sottendono alla storia materiale delle Intelligenze Artificiali nella loro fase. L’illusione è l’opposto di quella riconquista della consapevolezza che abbiamo chiamato _reincantamento_. Il reincantamento è un lavoro di resistenza conoscitiva e di mutazione dell’intenzionalità collettiva: per arrivare a questi cambiamenti, occorre però scontrarsi e affrontare l’immagine distorta trasmessa dagli schermi del potere. Nonostante i sentimenti stranianti che ci suscitano, le IA non sono davvero delle misteriose creature aliene e pensanti piombate nel bel mezzo dei nostri salotti. Sono strumenti umani e la critica non può cedere al canto delle sirene.
Non dobbiamo dimenticare infatti che le fantasie e i dibattiti che circondano l’idea di _General Artificial Intelligence_ arrivano quasi sempre da maschi, bianchi e occidentali, che proiettano su questo sogno tecnologico le proprie posizioni e i propri desideri. L’idea di _General Artificial Intelligence_ proviene da un _milieu_ culturale che unisce tecnologia, idee libertarie e [neo-conservatorismo di stampo statunitense](https://viewpointmag.com/2017/03/28/the-darkness-at-the-end-of-the-tunnel-artificial-intelligence-and-neoreaction/). Basti accennare come esempio al blogger [Eliezer Yudkowsky](https://rationalwiki.org/wiki/Eliezer_Yudkowsky), acceso seguace di Kurzweil, pseudo-ricercatore nel campo dell’IA e uber-razionalista, il cui principale merito consiste nell’aver convinto Peter Thiel, l’inventore di Paypal e supporter di Donald Trump, a finanziare i suoi progetti strampalati.
Per figure come Yudkowsky, il discorso sull’intelligenza artificiale si sposa [con discorsi razziali sul valore del QI](https://www.vox.com/policy-and-politics/2018/3/27/15695060/sam-harris-charles-murray-race-iq-forbidden-knowledge-podcast-bell-curve) (secondo loro spesso più basso nelle persone non — bianche) e il suo forum LessWrong è servito come punto di incontro per le comunità della della [_alt-right_](https://it.wikipedia.org/wiki/Alt-right) americana. In questo humus trans-umanista e conservatore, esiste una storia che ci riporta ai nostri alieni, una storia che non nasconde neanche più le sfumature mistiche che il culto per la tecnologia produce. Stiamo parlando del Basilisco di Roko.
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Lo sguardo del Basilisco
Roko era un utente del forum LessWrong che sconvolse gli altri poster con una sorta di esperimento mentale che parte da una domanda fondamentale: può esistere nel futuro un’intelligenza artificiale maligna che voglia punire coloro i quali non perseguono la sua creazione sin da oggi? Perché dovrebbe farlo? Secondo Roko, il Basilisco sarebbe all’inizio benevola e vorrebbe aiutare la specie umana. Essendo una superintelligenza le sua risorse saranno, da un punto di vista umano, illimitate e verranno spese per aiutare quante più persone possibili, anche quelle che il Basilisco non ha potuto salvare perché non esisteva. Quindi, non potendo tornare indietro nel tempo, il Basilisco vorrebbe, secondo la sua super-logica, accelerare la sua creazione. E come lo farebbe? Secondo la bizzarra teoria, lo farebbe condannando coloro che non hanno desiderato la sua creazione nel passato. Per cui, anche solo venendo a conoscenza del Basilisco di Roko, sarete condannati a subire la vendetta di questa super-intelligenza (mi dispiace).
Il Basilisco di Roko ricorda [la celebre scommessa di Pascal](https://it.wikipedia.org/wiki/Scommessa_di_Pascal). L’esistenza di Dio, secondo il filosofo francese, non può essere provata razionalmente: può solo essere oggetto di una scommessa fortuita. In questa ipotetica scommessa, la decisione saggia, per Pascal, è scommettere sull’esistenza di Dio, in quanto _«se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla»_: vale la pena quindi di vivere come se Dio esistesse, perché anche se così non fosse avremmo perso davvero niente, mentre potremmo vincere la vita eterna. In modo simile, il Basilisco di Roko ci spingere a “credere” e agire per realizzare una futura IA super potente così da non rischiare di essere puniti da essa in futuro. Visto che stiamo parlando di tecnologie umane e non speculazioni metafisiche, è evidente quanto questo pseudo-esperimento mentale, questo “salto della fede” tecnico porti alle alle estreme e paradossali conseguenze le idee della Singolarità e faccia emergere l’aspetto para-religioso di queste teorie.
Il Basilisco di Roko è una teoria esagerata e bizzarra, poco credibile, che però ha influenzato e colpito la sottocultura online legata all’idea della Singolarità, diventando una sorta di mito oscuro. Dovremmo invece tagliare la testa a questo fantomatico Basilisco, che simboleggia il peggior atteggiamento possibile verso il progresso tecnologico, per affrontare la questione della IA con materialismo e precisione, esorcizzando fantasie e guardando la realtà tecnica di oggi.
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Miniatura di un basilisco attaccato da una donnola ([bestiario scozzese del XII secolo](https://it.wikipedia.org/wiki/Bestiario_di_Aberdeen))
È troppo presto per cedere all’incantamento illusorio. Più che un radicalmente altro, abbiamo davanti uno _sproporzionalmente_ altro. Troppi dati, troppe elaborazioni, troppo poco tempo. Una sproporzione che diventa sempre più insostenibile nonostante le corporation del settore tech facciano il possibile per non far emergere questo fattore, [come il recente caso Timnit Gebru](https://www.technologyreview.com/2020/12/04/1013294/google-ai-ethics-research-paper-forced-out-timnit-gebru/) ha dimostrato ancora una volta. Questo è il movimento che va fatto per guardare negli occhi il complesso tecnologico che sta crescendo.
Invece che riferimenti a Skynet o a _2001_: _Odissea nello Spazio,_ proviamo a cercare nuove metafore in altri campi della tecnica. Un esempio in questa direzione è il lavoro di Matteo Pasquinelli e Vladan Joker nel progetto [‘Nooscope’](https://nooscope.ai/), rilasciato nel 2020 sotto l’egida del KIM Institute di Karlsruhe e dello SHARE Lab. ‘Nooscope’ è una parola che unisce due etimi del greco antico: _nous_, pensiero o conoscenza, e _skopein,_ che significa esaminare. Pasquinelli e Joker fanno proprio questo: esaminano un regno della conoscenza, quello delle IA, attraverso l’accostamento con le scoperte dell’ottica.
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_Emanuele Tesauro, Il canocchiale aristotelico_
Per Pasquinelli e Joker l’IA è _“uno strumento di ingrandimento della conoscenza che aiuta a percepire le caratteristiche, modelli e correlazioni attraverso vasti spazi di dati al di fuori della portata umana”_. Questa definizione, concisa ed efficace, secolarizza l’idea che ci siamo fatti di Intelligenza Artificiale. In questo momento storico le IA sono esattamente questo: strumenti conoscitivi basati su complessi modelli statistici, che compiono semplificazioni e portano ad errori prospettici. È proprio in questo senso che le IA sono simili a strumenti ottici come cannocchiali e microscopi: ci fanno vedere di più, ci fanno vedere meglio ma quello che ci appare sarà sempre filtrato attraverso le loro particolari lenti. E come i molatori e gli ottici del XVI secolo, tra cui c’era anche Baruch Spinoza, i programmatori, i designer e gli ingegneri di oggi decidono la forma, lo spessore e la misura di queste lenti, tramite le quali osserviamo sempre più spesso il nostro mondo. Una tale visione materialista della questione riporta le discipline che si occupano di IA nella traiettoria dell’impresa scientifica:
“Le scienze reali, a poco a poco, hanno cominciato a lavorare attraverso un apparato capace di registrare sensazioni che andavano ben oltre la scala e la portata dell’umano. La scienza divenne non solo un modo di registrare oggettivamente ciò che il soggetto percepisce, ma anche di registrare ciò che un soggetto non potrebbe mai percepire: scale molto al di sotto della molecola o al di sopra del sistema solare; tempi più veloci anche del pensiero, o epoche miliardi di anni prima che il soggetto percepente — prima di questa unica vita che conosciamo — esistesse”
Come sono composte allora queste lenti? I modelli di machine learning si articolano in:
_“un oggetto da osservare (set di dati di addestramento), uno strumento di osservazione (algoritmo di apprendimento) e una rappresentazione finale (modello statistico). […] Proseguendo con l’analogia dei mezzi ottici, il flusso di informazioni del machine learning è come un fascio di luce che viene proiettato dai dati di addestramento, compresso dall’algoritmo e diffratto verso il mondo dalla lente del modo statistico.”_
Lo studio di Nooscope ha il grande merito di riportare con i piedi per terra il mito ideologico delle IA. Eppure, per quanto funzionali, gli attuali sistemi di IA hanno dimostrato di avere bias razziali basati sulla composizione del loro dataset, hanno continuato a perpetuare le ineguaglianze del sistema carcerario e occupazionale e molto altro ancora. **È** proprio attraverso l’esame di questi angoli bui che il progetto Nooscope fa emergere maggiormente le caratteristiche intrinseche di questo modello conoscitivo.
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Incidente ferroviario di Montmatre, 1895
Come diceva il filosofo francese Paul Virilio:
_“Quando si inventa la nave, si inventa anche il naufragio; quando si inventa l’aereo, si inventa anche l’incidente aereo; Ogni tecnologia porta con sé la propria negatività, che viene inventata contemporaneamente al progresso tecnico.”_
Le lenti distorte e imperfette degli strumenti statistici e computazionali che adoperiamo creano un regime di “razionalità distorta”, basato su serie crescenti di “correlazioni automatizzate”. Travestito “con l’idea patriarcale di Intelligenza Assoluta”, il mondo delle IA perpetua “un’allucinazione statistica” che mette in luce determinati pattern, escludendone molti altri. Per esempio, i sistemi di classificazione che usano il machine learning sono incredibilmente deboli nel riconoscere le anomalie, specialmente quando appaiono per la prima volta. Ciò può essere un grave problema per gli algoritmi che gestiscono la guida autonoma che potrebbero non riconoscere un oggetto inedito che si presenta davanti a loro.
Parlando di sistemi di guida automatica, è importante prestare attenzione alle considerazioni del Vice Presidente di Facebook e guru delle IA a Palo Alto, Yann LeCun, sottolineate da Pasquinelli e Joker. LeCun ha spiegato che i sistemi di apprendimento profondo e le reti neurali più che simulare l’intelligenza, simulino la percezione. Rispetto alle credenze più diffuse, questo è un vero colpo di scena. Quando pensiamo a software di traduzione automatica come DeepL intuitivamente crediamo che essi “comprendano” in qualche modo i meccanismi della lingua umana o del significato di ciò che diciamo. Le macchine invece stanno _percependo_ il nostro linguaggio attraverso il riconoscimento di pattern e regolarità che hanno _imparato_ attraverso processi di apprendimento profondo. Oltre a rappresentare una svolta teoretica importante, questa idea rivela la fallacia di molta critica sul tema: persino quando i costruttori delle macchine ci dicono cosa stanno facendo, continuiamo compulsivamente ad illuderci che il destino delle tecnologie segua il flusso delle nostre cyber-fantasie.
E quanto queste fantasie siano ancora immature, ce lo ribadisce la realtà materiale del mondo del lavoro. Mentre nei circoli intellettuali si sogna (o addirittura si pretende) un futuro di piena automazione, l’avanzata delle macchine pseudo-intelligenti finisce per nascondere ancora di più le meccaniche di questo sfruttamento delocalizzato 3.0. Pensiamo al Mechanical Turk, la piattaforma di crowdsourcing di Amazon, dove circa 500’000 persone si contendono ogni giorno lo svolgimento di mansioni ripetitive, come il _data tagging_, la categorizzazione di immagini, video, testi etc. attraverso cui le macchine arrivano a “percepire” e organizzare questi flussi di dati. Amazon li chiama, con un’ironia e uno scarso senso del pudore, “Human Intelligence Tasks”, quasi a canzonare chi crede che l’Intelligenza Artificiale sia davvero intelligente e davvero autonoma dallo sforzo umano. Ben lontano dai sogni della Singolarità, è la realtà del lavoro dei Mechanical Turk, unita alla grande disponibilità dei dati, ad aver permesso i maggiori progressi nelle tecniche algoritmiche. Il dataset ImageNet, contenente più di 14 milioni di immagini, catalogato attraverso il marketplace di Amazon, è servito per allenare con successo i migliori algoritmi per il riconoscimento di immagini.
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L’originale Turco Meccanico
La responsabile del progetto L. Fei-Fei ha definito [“un dono divino”](https://learning.acm.org/binaries/content/assets/leaning-center/webinar-slides/2017/imagenet_2017_acm_webinar_compressed.pdf) il lavoro dei 49’000 impiegati che hanno taggato le immagini sulle quali si allenano gli algoritmi. ImageNet ha superato in scala tutti i precedenti database e ha settato lo standard per altri immensi dataset come Medical ImageNet o MusicNet. Come dichiarato dallo scienziato Alexander Wissner-Gross: “_I dataset — non gli algoritmi — potrebbero essere il fattore chiave che limita lo sviluppo dell’intelligenza artificiale a livello umano”_. Che mantenere questi immensi dataset abbia un impatto ambientale notevole, non sembra interessare nessuno degli addetti ai lavori (tranne Timnit Gebru).
[Un’ultima curiosità](https://www.instagram.com/p/CDbxpz9Izbi/): il nome Mechanical Turk deriva dal Turco Meccanico, celebre automa costruito dall’inventore Von Kempelen per Maria Teresa d’Austria. Il Turco Meccanico giocava a scacchi automaticamente, lasciando di sasso mezza Europa: nessuno capiva che l’automa in realtà nascondeva un uomo al suo interno. Fu Edgar Allan Poe a rivelare la verità dopo un’attenta indagine e ad infrangere queste prime fantasie tecnofile. Del resto, questo è anche lo scopo del progetto Nooscope: “_esporre la stanza nascosta del Turco Meccanico aziendale e illuminare il lavoro invisibile della conoscenza che fa apparire ideologicamente viva l’intelligenza delle macchine.”_ Le proiezioni fantascientifiche, i miti del Basilisco finiscono per nascondere la questione del Turco Meccanico e gli altri problemi del presente.
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Un lavoro come il Nooscope dissolve la cortina ideologica e diventa così uno strumento di resistenza epistemica. Altri studi aspettano di essere scoperti e discussi così da inventare una riorganizzazione di questo campo del sapere. Un _divenire-minore_ delle tecnologie digitali, una resistenza algoritmica che sia arma degli oppressi, una tecnoscienza organizzata dalla prospettiva del lavoro e non del capitale, sono le nostre prospettive future. Abbiamo davanti macchine più umane di quanto ci piace ammettere: il compito di riempirle di magia è soltanto nostro.
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_Ciao, ritorniamo in questo spazio per un pezzo sugli NFT, che è il seguito di un articolo uscito lo scorso mese per KABUL Magazine. Cercheremo di proseguire la nostra esplorazione in questo mondo, dando per scontate alcune conoscenze di base. REINCANTAMENTO è sempre attivo_ [_su Instagram_](https://www.instagram.com/re.incantamento/)_. Buona lettura._
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fuzzy#boi, [Lirona](https://rarible.com/token/0xd07dc4262bcdbf85190c01c996b4c06a461d2430:295416:0x96234e93d9fb27fda6414d89adeb963f126f4704)
Non esistono fenomeni morali, ma solo interpretazioni morali dei fenomeni
Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male
Siamo in piena follia NFT. Il ciclo del hype sta facendo il suo corso e tutto il mondo si vuole tokenizzare. Dopo anni di discussioni e previsioni, gli NFT sembrano essere la prima vera applicazione su blockchain a sfondare il muro del mainstream — dopo Bitcoin ed Ethereum naturalmente. Mentre i prezzi stanno attraversando [una necessaria discesa](https://edition.cnn.com/2021/04/05/investing/nft-prices-falling/index.html), la prima mostra di NFT prende vita [a Pechino](https://www.ft.com/content/51e54ce2-6799-43db-b1c6-dc5ee5e173a5).
L’esposizione al grande pubblico di un tema complesso, recente e sfaccettato come questo, viene spesso filtrata attraverso la lente del sensazionalismo. Si finisce così per non aprire un vero dibattito ma di polarizzare le opinioni intorno a due “squadre” opposte: è una caratteristica del dibattito sui social, e la conversazione sugli NFT non fa eccezione. [Dopo aver chiarito i presupposti di base della conversazione](https://www.kabulmagazine.com/la-marea-degli-nft/?type=magazine), cercheremo di esplorare qualche aspetto più sfaccettato della vicenda, illuminando angoli bui del mondo NFT invece che gli eventi sovraesposti, consapevoli di come sia difficile ragionare chiaramente nel mezzo della bolla che stiamo vivendo.
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Minted Monsters [03], [Norod78](https://www.hicetnunc.xyz/tz/tz1XafiAFyZhsr6eXeAbHhJWBVTHynB8BHDJ)
Fare i soldi è diventato un _meme_. L’_NFT-fever_ va contestualizzata in questa affermazione, all’interno di un ondata di denaro più ampia di cui il caso Gamestop, il Dogecoin, Patreon e OnlyFans fanno parte.
La carcassa del capitale occupa la scena almeno dal 2008 e la crisi COVID ha mostrato come non mai le contraddizioni e le stupidità di un sistema ingiusto, inefficiente in cui domina l’astrazione. Del resto, il 2020 è stato l’anno dei record di Wall Street e un’annata da incubo per l’economia reale. Quale è il senso del denaro in un mondo dove mr. Bezos ha accumulato 168 miliardi di dollari? Una magnitudine di ricchezza tale da essere inimmaginabile per le nostre capacità cognitive. [Questo tool](https://mkorostoff.github.io/1-pixel-wealth/) può essere un aiuto per comparare una tale quantità di denaro con ciò che possiamo comprendere. Il costo annuale per curare i pazienti con la chemioterapia negli USA è di 9 miliardi di dollari: il 20 luglio 2020, Bezos ha guadagnato 13 miliardi in un solo giorno. Non bisogna essere Bifo per comprendere la vastità di questo non-senso. Le crisi continuano a portare via posti di lavoro: la situazione è così seria che il governo americano [ha varato un piano di 2 triliardi di dollari](https://www.vox.com/2021/4/2/22364100/biden-human-infrastructure-jobs-plan), una rianimazione d’emergenza per la classe media.
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Così, mentre il paradigma neoliberale perde nuovi pezzi, la sua principale infrastruttura, internet, resta l’unica fonte di reddito per tante persone. Sciami di piccoli investitori, sex worker on-demand, crypto-artisti, scrittori di newsletter: sono questi i lavori della fine dei tempi, tutto pur di non diventare turchi meccanici alle dipendenze di Jeff. E’ un paradigma individualista, il sogno dei Gordon Gekko e dei Jordan Belfort svenduto alle masse. Il tempo accumulato e il denaro perso durante il lockdown hanno spinto verso una pseudo-democratizzazione della finanza, facilitata dalla diffusione di app di trading come _eToro_ o _Revolut_, dalla bolla del Bitcoin, dalla semplicità dei pagamenti digitali. In tutto questo, gioca un ruolo chiave quella strana formula alchemica che risponde al nome di viralità: meme, comunità su Reddit, canali Discord non fanno altro che diffondere e alimentare queste tendenze sociali accelerandole oltre ogni aspettativa. [Le parole di Bifo](https://not.neroeditions.com/meme-sciame-microtrading/) risuonano chiare:
_“Il capitalismo finanziario è un incubatore di frustrazione: alla gente hanno promesso prosperità, affidabilità e anche felicità, ma tutte le promesse neoliberali si sono rivelate delusioni. L’investimento finanziario al dettaglio promette una via di fuga dalla miseria quotidiana, perché si dice alle persone, particolarmente ai maschi bianchi, che sono destinate alla grandezza mercantile e al successo economico”._
L’incarnazione di questo delirio finanziario e virale sembra essere l’avatar del _Diamond Hanz_ inserito in Fortnite: il noto meme _stonks!_, che celebra delle azioni che salgono, rinasce come personaggio videoludico, quasi a voler confermare questa buffa e inquietante intersezione tra gamer, investitori e memer.
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Diamond Hanz, il meme trader disponibile in Fortnite
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STONKS, il meme originale
Ci deve forse sorprendere che questo sciame raggiungesse prima o poi il mondo dell’arte? Non è stata l’arte una delle prime frontiere della finanziarizzazione, con dipinti venduti a centinaia di milioni di dollari? Se l’arte digitale segue le stesse regole, dove sta la novità? L’[affaire beeple](https://www.wsj.com/articles/beeple-art-sold-for-69-million-to-founder-of-crypto-fund-metapurse-11615579907?mod=series_nonfungibletokens) è davvero così diverso? L’acquisto da parte di un investitore di Singapore, Metakovan, per 69 milioni di dollari è uno scandalo per un mondo dell’arte che si muove su cifre ben maggiori? Il problema è che parliamo di bit e non di dipinti? Forse, il mondo dell’arte ha un problema di [_gatekeeping_](https://artreview.com/why-the-artworld-loves-to-hate-nft-art-beeple-christies-grimes/) e di snobismo intellettuale verso una marea di auto-proclamati artisti che forse potrebbero persino essere in grado di pagarsi le bollette tramite il loro lavoro. Sia online che offline, ci sembra che sia la lezione di Benjamin a dover essere ricordata, così come ha fatto [Jonathan Beller](https://www.coindesk.com/fascism-blockchain-art-nfts). Beller ci ricorda che le evoluzioni tecniche, quando incontrano il potere dell’arte, possono generare mostri. Il feticismo verso la sacralità dell’oggetto d’arte contribuisce alla repulsione verso gli NFT, che come ogni protesi tecnica sembrano sminuire l’aura del lavoro umano. Non dobbiamo replicare il culto degli idoli su cui si basa il sistema attuale, non possiamo lasciare gli NFT in mano alla corrente della notorietà. Lo ha dichiarato lo stesso creatore di Ethereum, il giovane russo Vitalik Buterin, definendo l’attuale sistema NFT “un casino che conviene alle celebrità già ricche”.
![](https://miro.medium.com/max/640/0*sIAEs3QC0V7kMNsJ)
CROSSROADS, beeple
Il non-detto del discorso NFT è questo: esistono gerarchie esistenti che privano la tecnologia del suo valore sociale e ci lasciano con una mera speculazione finanziaria. Oltre beeple, vedere Grimes e suo marito Elon Musk vendere NFT per milioni di dollari o speculare sulla _meme-valuta_ Dogecoin è deprimente. Si tratta, secondo Buterin, di un problema di legittimità: tendiamo ad allocare le nostre risorse, anche la nostra mania di collezionismo, verso figure già note, già apprezzate e chiacchierate. Per invertire questo processo, serve creare un altro tipo di legittimità, incanalare i flussi virali e di denaro verso cause positive stabilendo nuovi canali di finanziamento per progetti solidali e artisti impegnati. Sono due le bozze strategiche proposte da Buterin:
1. _Qualche istituzione (o anche DAO) potrebbe “benedire” le NFT in cambio di una garanzia che una parte delle entrate vada verso una causa caritatevole, assicurando che più gruppi beneficino allo stesso tempo. Questa benedizione potrebbe anche essere accompagnata da una categorizzazione ufficiale: questo NFT è dedicato all’aiuto globale della povertà, alla ricerca scientifica, alle arti creative, al giornalismo locale, allo sviluppo di software open source, al rafforzamento delle comunità emarginate, o a qualcos’altro?_
2. _Possiamo lavorare con le piattaforme di social media per rendere gli NFT più visibili sui profili delle persone, dando agli acquirenti un modo per mostrare i valori per cui hanno impegnato non solo le loro parole ma il loro denaro duramente guadagnato. Questo potrebbe essere combinato con (1) per spingere gli utenti verso NFT che contribuiscono a cause sociali di valore._
Invece che gridare allo scandalo, organizzare reti decentralizzate ma coordinate, con lo scopo di piegare la catena del valore per delle esigenze migliori che il solito profitto di pochi. Esistono già idee a riguardo.
![](https://miro.medium.com/max/700/0*2SRsqasj1_P_EP6n)
In questa lotta tra apocalittici e integrati che ha caratterizzato gran parte della conversazione pubblica, si è parlato poco delle alternative virtuose a livello ecologico nell’ambito NFT. Come ha dimostrato [Memo Akten](https://memoakten.medium.com/the-unreasonable-ecological-cost-of-cryptoart-2221d3eb2053), esiste un problema serio di consumo energetico della tecnologia Ethereum e, di conseguenza, di gran parte dei marketplace di arte su cui si basa l’ecosistema NFT. Per fortuna, l’impegno della comunità sta cercando di cambiare questo stato di cose. Non si tratta certamente di un mutamente che può avvenire repentinamente e le piattaforme più popolari, come Superrare, Rarible e OpenSea consumano un quantitativo rilevante di elettricità a causa del grande numero di utenti e transazioni che attirano. Eppure, [è lo stesso Akten](https://github.com/memo/eco-nft) — insieme ad una squadra di ricercatori — ad aver evidenziato l’esistenza e l’attività di piattaforme _altre_, come a voler mettere un argine al fiume di critiche scatenato dai suoi stessi articoli. Tra le alternative più note troviamo [hicetnunc](https://www.hicetnunc.xyz/), basato sulla blockchain Tezos, [KodaDot](https://nft.kodadot.xyz/), che si affida al sistema di PolkaDot o ancora [SIGN art](https://www.sign-art.app/), che utilizza il protocollo Wavess.
Questi tentativi vanno apprezzati e fanno comprendere come una parte della comunità NFT consideri la questione ecologica come centrale. La piattaforma collaborativa [DADA.art,](https://powerdada.medium.com/) centrata su valori comunitari e di sostenibilità, così come il testo a più voci [_“Toward a New Ecology of Crypto Art: A Hybrid Manifesto”_](https://flash---art.com/2021/02/episode-v-towards-a-new-ecology-of-crypto-art/) ci raccontano una scena sfaccettata, interessata a migliorarsi e a dischiudere nuove pratiche per accompagnare queste nuove tecnologie. Il profitto e la speculazione vanno combattuti. Come ha dichiarato Christina Akopova, cofondatrice della piattaforma di crypto art Pixeos — sulla blockchain EOS indipendente da Ethereum — nota: “_Se non compri la #cryptoart che ti piace perché non è su ETH, sei fondamentalmente un collezionista di token ETH, non un sostenitore dell’arte_”.
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Good Microbes №5 — Ebola, [CRYPTOLADIGABI](https://mainnet.sign-art.app/user/3PGKQv7gajfUnnwCUtUzHz4wF1hSRshPMxp/artwork/5hfjshEt6uSPytUf2f6jkYphKVgmNLwKf4esQPoYHJNq)
Al tempo stesso, non dimentichiamoci che è l’intero mondo digitale ad avere un rapporto fumoso con il proprio impatto ambientale. [Le ricerche Google](https://www.nature.com/articles/d41586-018-06610-y), i tweet, [i dataset usati per addestrare i sistemi di _machine learning_](https://www.technologyreview.com/2020/12/04/1013294/google-ai-ethics-research-paper-forced-out-timnit-gebru/) hanno tutti un peso importante a livello di emissioni di carbonio: non sempre la prospettiva ecologica rientra nelle critiche che si fanno a queste tecnologie né si cerca in qualche modo di promuovere le alternative [che pur esistono](https://www.ecosia.org/). Non possiamo che essere felici che si sviluppi [una prospettiva materialista sul mondo tech](https://www.instagram.com/p/CFMgSCTCh1i/), conscia delle diseguaglianze e violenze che lo sviluppo di quest’industria si porta dietro. Eppure, censurare un protocollo recente come quello NFT, che vive ancora la sua fase di immaturità tecnica e soltanto ora sta venendo adottato massivamente, ci sembra una posizione [da castello dei vampiri](https://www.opendemocracy.net/en/opendemocracyuk/exiting-vampire-castle/) e moralisteggiante, soprattutto in una società dove sono sempre [le grandi corporazioni](https://www.theguardian.com/environment/2019/oct/09/what-we-know-top-20-global-polluters) a inquinare di più.
Parlando di corporazioni, secondo qualcuno gli NFT potrebbero rappresentare una via di fuga per tracciare l’esodo dalle grandi piattaforme che dominano il Web oggi. Le loro briciole non bastano più ai creatori che le abitano. Mat Dryhurst lo spiega al [Süddeutsche Zeitung](https://www.sueddeutsche.de/kultur/nft-blockchain-grimes-elon-musk-1.5250202), riferendosi al caso di Spotify: “Questo problema della proprietà è il tallone d’Achille della vecchia economia della piattaforma Web 2.0”. Come la campagna [_Justice at Spotify_](https://www.unionofmusicians.org/justice-at-spotify) ha dimostrato, è impossibile vivere con i soldi degli streaming, a meno che non si sia una superstar globale: “Per pagare l’affitto mensile medio americano (1.078 dollari) un artista deve generare 283.684 stream al mese”. Senza contare che la stessa logica della metrica è inutile: perchè la musica migliore o più pagata deve essere quella ascoltata più di frequente? Inoltre, la pandemia: concerti, dj-set ed esibizioni sono sparite dal mondo virale in cui viviamo. In questo contesto allora possiamo immaginare gli NFT come protocollo tecnico in grado di creare nuove forme di sostentamento.. E’ stato lanciato in beta il servizio [Catalog](https://beta.catalog.works/), una sorta di Soundcloud 3.0, che permette di ascoltare i brani gratuitamente ma possono anche essere acquistati e rivenduti come NFT. Gli artisti partecipanti ottengono il 100% delle vendite, più una quota autodeterminata di ogni rivendita, senza cedere i loro diritti d’autore. In Italia, abbiamo l’esempio di [White Forest Records](https://whiteforestrecords.bandcamp.com/) che ha caricato come NFT un EP accompagnato da un video-artwork in HD.
![](https://miro.medium.com/max/700/0*7Cf5w94MrnNTZtuL)
E’ proprio Hydrust a proporre, [in uno straordinario pezzo](https://matdryhurst.medium.com/dao-guilds-establishing-territory-e8ba64ae6f25), l’idea di _gilda_, come modello organizzativo per l’internet post-piattaforme. Le gilde erano associazioni di professionisti che riuscivano, tramite l’organizzazione collettiva, a esercitare un peso politico ed economico all’interno di stati più grandi. Un esempio più ampio fu la Lega Anseatica (_Ansa_ in altotedesco vuol dire raggruppamento): un’alleanza di città del Nord Europa, soprattutto tedesche, che ottenne importanti privilegi economici pur rimanendo all’interno del Sacro Romano Impero.
Reputando improbabile l’idea di un completo abbandono delle piattaforme, Hydrust prefigura un lento esodo verso organizzazioni digitali autonome, comunità online in grado di raggiungere anche una sussistenza economica oltre che un’indipendenza ideologica:
_“Al di là del clamore, le Blockchain sono emerse come un mezzo efficiente e resistente per il coordinamento decentralizzato di gruppi affini. Una prospettiva sul futuro delle Blockchain suggerisce che esse segnaleranno una migrazione di massa degli utenti dagli attuali monopoli delle piattaforme regnanti ai sistemi di consenso decentralizzati — cosa che faccio fatica a visualizzare. Un altro futuro, più concepibile, è quello di una_ **coesistenza** _turbolenta, non dissimile dalla relazione tra le zone di libero insediamento dell’Hansa e i loro ospiti statali. Non si può estrapolare la formazione delle Blockchain dalle loro origini libertarie, e come tali operano al meglio come forza separatista, con la loro esplicita attenzione alla privacy, alla resistenza alla censura e all’autonomia finanziaria: spazio per i parenti per tramare e coordinarsi all’esterno”._
Immaginiamo la nascita di diversi cluster di artisti organizzati secondo le loro creazioni o i loro interessi come già esistono: comunità online, come server Discord o gruppi Telegram, che si concentrano su specifici temi esistono già e tramite gli NFT e altre tecnologie (come i DAO, di cui torneremo a parlare) potrebbe strutturarsi in maniera solida, sostenibile e autonoma. Fuori da Spotify, ci attende [un lungo _Bandcamp Friday_](https://daily.bandcamp.com/features/update-on-bandcamp-fridays)_._
![](https://miro.medium.com/max/700/0*vp4KVeF5Pc_wDuWa)
Balance Sculpture III, [zhemin](https://foundation.app/zhemin/balance-sculpture-iii-16770)
Un ultimo punto. E’ vero che il mondo crypto sia un mondo formato in gran parte da uomini bianchi, eterosessuali ed occidentali e che gli NFT, in quanto emanazione diretta di quella sfera, soffrano dello stesso problema. Tuttavia, esistono anche qui esempi virtuosi che è necessario evidenziare. [Un ottimo reportage](https://the-ken.com/sea/story/a-leap-for-art-a-lifeline-for-artists-se-asias-burgeoning-cryptoart-movement/) di The Ken ci racconta il lavoro di Shelly Soneja, un’artista filippina, che è riuscita a raccogliere fondi per il suo villaggio distrutto da un tornado tramite l’asta di un suo lavoro tokenizzato.
Altri artisti del Sud Est asiatico o del Sud America raccontano entusiasti di questa nuova ancora di salvezza che ha permesso loro di ottenere ricavi inediti rispetto al regolare circuito dell’arte. Tuttavia, rimangono problemi di accesso, soprattutto all’interno delle piattaforme più note. Il prezzo necessario per poter caricare (_mintare_) il proprio lavoro è ragionevole per chi abita in Occidente — si tratta di una cifra vicina ai 10$ — ma al cambio delle diverse valute del Sud Est Asiatico il prezzo diventa importante e limitante per molte e molti artisti.
C’è ancora molto da fare per decolonizzare e solidificare queste pratiche solidali per i paesi non-occidentali: sfidare il dominio del dollaro e dell’inglese deve essere parte delle sfide future del mondo NFT. Soprattutto per questi contesti, un’organizzazione collettiva può essere la chiave per usare la tecnologia a proprio vantaggio e sfruttarne i benefici materiali. Organizzare, propagare nuove idee e realizzare strutture adattive: alcune parole chiave per non lasciare un altro campo tecnologico in balia delle solite dinamiche di potere.
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_Ciao. Oggi facciamo una breve ricognizione nel lavoro di Impossibile Object, una casa editrice molto particolare, e del suo tentativo di reincantamento della tecnologia crypto. REINCANTAMENTO è sempre attivo su_ [_Instagram_](https://www.instagram.com/re.incantamento/)_. Buona lettura._
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Pausa Transformacional di Marta Minujin
A che punto un determinato oggetto smette di essere tale e diviene qualcos’altro? Dov’è che il design supera sé stesso e ridefinisce un paradigma? Per quanto sembrino domande astratte, sono quesiti stimolati dal lavoro che Impossible Object (da qui in avanti IO) vuole fare con il “libro” (è riduttivo chiamarlo così) _“Conversations on AI”._
Di che cosa si tratta? _“Conversations on AI”_ sarà una raccolta di conversazioni sul vasto tema dell’Intelligenza Artificiale e delle sue ricadute etiche, artistiche e politiche. Il libro conterrà i dialoghi tra sei pensatori e pensatrici di massimo spessore che si sono occupati del tema secondo diverse direzioni. C’è il filosofo iraniano Reza Negarestani — che ha scritto un’impegnativa monografia sul tema (_Intelligence e Spirit,_ ancora inedita in Italia), la pensatrice xenofemminista Helen Hester, [recentemente intervistata su Not](https://not.neroeditions.com/i-nostri-dati-i-nostri-scopi/), c’è Nick Srnicek l’autore del noto testo sull’automazione “_Inventare il Futuro”_. Il volume ospita poi i musicisti e critici Holly Herndon e Matt Hydrust che con l’IA hanno realizzato [uno dei più bei dischi degli ultimi anni, Proto](https://www.giornaledellamusica.it/dischi/holly-herndon-verso-lumanesimo-digitale), e Benjamin Bratton, autore del [classico dei _software studies “The Stack_”](https://mitpress.mit.edu/books/stack) e direttore [dello Strelka Institute a Mosca.](https://strelka.com/en/) Il design sarà curato [da Metahaven](http://metahaven.net/), noto studio di design critico, da sempre interessato al rapporto tra macchina e umani. E proprio il rapporto tra uomo e tecnica è esplorato dalla stessa forma del volume, che supera in molti modi l’idea tradizionale di libro e di editoria.
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Le conversazioni del titolo avranno prima una forma orale e verranno in seguito trascritte così da mantenere vivo il flusso argomentativo. IO ha dichiarato di ispirarsi al lavoro della storica casa editrice Semiotext(e), nota per aver portato nel mondo anglofono alcuni tra i più celebri dialoghi del post-strutturalismo francese come _“Dimenticare Foucault”_ di Jean Baudrillard. L’edizione fisica amplierà ulteriormente la discussione: dopo l’uscita verrà stimolato un processo di conversazione pubblica sui contenuti del libro e alcuni di questi contributi esterni verranno aggiunti alla versione cartacea del volume. Si tratta di un’altra idea interessante se pensiamo alla rilevanza che alcuni contributi online che seguono le uscite dei libri possono pareggiare in qualità e raffinatezza con i contenuti dei libri stessi. Dare loro la dignità della pubblicazione è una scelta curatoriale per preservarli dall’overflow dei contenuti online.
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El Arcuetipo de la Repeticion di Marta Minujin
Questa idea di partecipazione non riguarda soltanto i contenuti di _Conversations on AI_ ma anche lo stesso processo realizzativo dell’oggetto. Infatti, l’attuazione del progetto _Conversations_ è legata alla riuscita di un processo di crowdfunding che IO realizzerà nel prossimo futuro: un crowdfunding che sarà ospitato [dalla piattaforma Mirror](https://mirror.xyz/). Mirror è una piattaforma basata su Ethereum (la seconda criptovaluta dopo Bitcoin e molto di più) e destinata agli stormi di scrittor* digitali. Negli ultimi quindici anni, newsletter, _longform_, blog post hanno invaso i nostri feed e continuano a moltiplicarsi ogni giorno. Questi nuovi spazi di scrittura non sono riusciti ancora a trovare un modello di valorizzazione adatto allo sforzo e alla qualità che li contraddistingue. Mirror vuole usare la tecnologia crypto per cambiare questo stato di cose, segnando un nuovo step “_nella lunga storia della comunicazione simbolica_”. Un esempio di progetto editoriale innovativo è proprio _Conversation on AI_: la novità infatti non risiede solo nell’approccio partecipativo ma anche nella valorizzazione della partecipazione che la tecnologia crypto permette. E’ un meccanismo inverso all’estrazione del valore che i grandi social hanno effettuato negli ultimi dieci anni: in una visione eco-sistemica, la piattaforma e gli utenti congiungono verso lo stesso fine e l’idea di gerarchia viene appiattita. Il dominio su cui gli utenti scrivono è loro proprietà e i contenuti non vengono conservati in maniera centralizzata: [ulteriori scelte tecniche](https://dev.mirror.xyz/J1RD6UQQbdmpCoXvWnuGIfe7WmrbVRdff5EqegO1RjI) e di design rendono Mirror diverso da spazi di scrittura digitale come [Medium](https://medium.com/).
Tornando al progetto di crypto-editoria _Conversations_ _on AI_, l’esperimento sfrutta l’innata potenzialità del suo medium portando l’idea ben oltre quella di un “semplice” crowdfunding. Tramite un token digitale chiamato $IMPOSSIBLE, l’organizzazione di IO sarà in grado di ricompensare gli utenti che hanno finanziato il libro. Il testo verrà venduto all’asta su Zora e i compensi saranno divisi tra tutti i possessori di $IMPOSSIBLE: questo processo avverrà automaticamente tramite uno Smart Contract, un artefatto decisionale programmato tramite un linguaggio specifico. Lo Smart Contract assicura che anche i profitti delle vendite secondarie siano di nuovo ripartiti tra i finanziatori originali. Ovviamente, questo avverrà soltanto qualora non si decida di riscattare i token scambiandoli per una valuta con un effettivo valore come Ethereum. Un ulteriore aspetto interessante è che possedere $IMPOSSIBLE significherà fare parte del processo decisionale circa il destino dell’oggetto _Conversation_. Si tratta certamente di un processo complicato perché così ma anche un metodo arguto e tecnologicamente sofisticato di realizzare progetti altrimenti impossibili, cercando di farlo in maniera autonoma e decentralizzata senza il finanziamento e la presenza a tratti ingombrante di un’istituzione o di un privato.
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Questo libro rappresenta altrettanto chiaramente un esperimento e come tale va compreso: vedremo se la sua realizzabilità sarà reale o se rimarrà uno schema sulla carta. E’ anche un tentativo di rimodellazione di una materia millenaria come la filosofia, di una mutazione verso un nuovo medium che potrebbe rivelarsi fertile così come lo sono stati tra gli anni 2000 e gli anni ’10 i blog. L’ubiquità dell’oggetto che potrebbe essere _Conversations_ sfuma le distinzioni tra oggetti digitali e fisico, tra partecipazione e autorialità: la forzatura di alcune dinamiche e di strumenti tecnici potrebbe essere una via verso la creazione di qualcosa di nuovo.
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Il tridente impossibile
Come spiega Reza Negarestani [in un breve testo](https://dev.mirror.xyz/mQ03-JXlfdoBnRrZisC5X3kM9nBkOILlHwxbdq382Gw) che accompagna la presentazione del libro: “_I panorami complessi sono definiti dalle proprie strutture multi-livello_” e “C_i richiedono di navigarli attraverso diverse scale”_ . Il pensatore iraniano si riferisce al problema dell’IA eppure il discorso può essere esteso alla stessa operazione crypto-editoriale. _Conversations_ è un intervento che si innesta tra i problemi dell’industria culturale, dell’editoria e dello stesso mondo crypto. Non è una risoluzione a nessuno di questi problemi ma un tentativo di ingegneria concettuale e di interazione critica, una spinta verso una configurazione diversa dell’intelligenza filosofica e della pratica tecnologica. Gli oggetti impossibili, un genere di illusione ottica, si definiscono tali perché contrari alle leggi della geometria dei solidi ed esistono solo come proiezioni bidimensionali. Così, si potrebbe vedere _Conversations_ come un’entità trasversale, in contrasto con alcune compartimentazioni discorsive e giudizi morali. In poche parole, uno sforzo immaginativo di oggetto a venire.
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