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Anche quest’anno niente classifiche e niente recensioni ‒ solo qualche commento. Lo sapete tutti, il 2020 è stato segnato dalla pandemia e come tanti ho passato molto più tempo senza poter uscire. Ho letto un po’ più dello scorso anno, per quel che conta la quantità.
Una raccolta di saggi, complessivamente un po’ ripetitiva ma visto che uno dei temi ricorrenti è quello della burocrazia è anche una lettura doverosa. Nel libro e anche nell’introduzione Ainis porta l’esempio paradossale del Ministero dei Beni Culturali che ha cambiato nome tre volte in pochi anni. Ebbene, dopo la pubblicazione del libro è cambiato di nuovo. E all’inizio del 2021 è cambiato di nuovo. Cinque volte.
Questa è una lettura, sì. Come molti ho consultato decine di volte la Pianta e i suoi disegni, ma non sapevo che fosse accompagnata da un testo descrittivo molto articolato. L’edizione maestra curata dal grande Massimo Quaini ha una lunga introduzione al testo che racconta la storia di Matteo Vinzoni, di come è diventato uno dei più grandi cartografi della sua epoca e della fatica interminabile che gli è costata questa Pianta. E la cosa che più mi ha sorpreso è stata la causa scatenante per l’istituzione dei commissariati di sanità: un’epidemia di peste (cosiddetta peste di Marsiglia, 1720), in cui la cartografia è uno degli strumenti di controllo capillare del territorio al servizio del governo. Quante cose ci sono da imparare.
Lo scorso anno con “L’ultima dei Neandertal” avevo detto, ci vuole più narrativa ambientata nella preistoria! Eccomi servito. Siamo nel Mesolitico delle isole britanniche e questo racconto a più voci è la storia di un mondo lontanissimo, in cui uomini e donne vivono secondo regole e credenze molto legate alla natura e ai suoi cicli, ma sono anche pieni di grandezza, di spazi immensi, di legami profondi tra persone. L’ho trovato un racconto senza un genere preciso e forse per questo veramente profondo.
Mi ha prestato questo libro mio fratello, senza commento. Conoscendo un poco l’autore, mi aspettavo una trattazione sui temi più critici del riscaldamento globale e disastri annessi. Nulla di tutto ciò, il libro di Pievani è una raccolta di sommari culturali-filosofici del mondo occidentale su vari livelli a cui è stata concepita la fine del mondo. Mi ha fastidiosamente ricordato un brutto libro di Remo Bodei letto anni fa. Nessuno spazio è dato alla storia del pensiero nel mondo indiano o cinese. Compaiono i Maya (scritti però minuscoli, diversamente dagli antichi romani maiuscoli) per “lip service” alla più nota delle teorie pseudostoriche catastrofiste. Non mi è piaciuto. Non era piaciuto nemmeno a Enrico.
Molto breve e tagliente. Quest’anno non ho letto in modo esclusivo autrici, ma ho comunque continuato ad esplorare fuori dalla mia comfort zone.
E questo è molto fuori. Il racconto è a due voci ma quella maschile sembra in molte parti vivere un livello umano diverso, più elementare, nella lunga tragedia che segna la vita della coppia. È stato straziante, soprattutto con un bimbo di pochi mesi in casa, e scava molto profondamente nelle assurde consuetudini che in tanti luoghi controllano la vita delle coppie che si amano.
Claire Cameron è l’autrice de “L’ultima dei Neandertal”, facile. Ma questo orso è mi-ci-dia-le. Sarà una banalità, ma la voce narrante adorabile di questa storia inquietante rende il libro un vero concentrato di emozioni forti e fortissime. Di nuovo, c’è una quasi corrispondenza con le età dei miei figli e questo mi ha fatto leggere l’orso in maniera molto più riflessiva ‒ parafrasando Scaruffi la trama è l’ultima cosa interessante di tutto il libro.
Questo è un delizioso regalo per il mio compleanno. Mi ha fatto tornare a Siena e capire quante cose ho perso di Siena negli anni in cui ci ho abitato.
Il terzo volume della trilogia, ammesso che sia davvero una trilogia. È spietato e tragico in modo grandioso.
Ho letto con grande fatica, in lingua originale, questo saggio, di cui non avevo capito bene né l’estensione né la dimensione politico-accademica. Ho anche ascoltato una versione “audiolibro” non molto ascoltabile, ma pur avendo colto alcuni concetti fondamentali che oggi sono diventati estremamente potenti, non sono riuscito a seguire per bene il discorso complessivo. Mi ha lasciato un po’ guardingo l’avvio iniziale sul ruolo “ironico” del cyborg, perché mi sto convincendo profondamente che l’ironia sia molto deleteria. Quindi ho comprato la traduzione italiana, che leggerò prossimamente.
Ce l’ho fatta! Sono finalmente riuscito a leggere un romanzo di Le Guin. Che meraviglia. Che incredibile viaggio questo sul pianeta Anarres. Scopro l’acqua calda, ma acqua calda rimane.
Ho questa trilogia da un paio d’anni, comprata usata da “Nostalgie di carta”, la libreria di via Daste che purtroppo ha chiuso i battenti con la morte del titolare. Il primo libro è un “classico” Ellroy, lontanissimo dalle costruzioni complesse degli anni successivi ma comunque una buona lettura.
Questo me lo ha prestato mio padre. È il libro che mi ha fatto pensare di più e sicuramente quello che più mi ha fatto innervosire, non perché sia brutto (vedi sopra la fine del mondo), ma perché mescola una ricerca approfondita di luoghi, persone e storie con una serie di mostruosità che non riesco a tollerare. I beceri stereotipi (la macchina femmina, qua e là donne bellissime che compaiono unicamente come tali). L’ingenuità di fronte ai lavori nel ventre delle montagne (pure ritrattata nel libro stesso). Le lamentele sull’abbandono che solo uno nato e cresciuto in città può concepire.
Il libro è effettivamente composto di due parti (anche qui, dichiarate in apertura), una di autobiografia lenta riguardante le Alpi, i molti personaggi quasi tutti legati all’alpinismo, all’epica della montagna con le sue gesta eroiche e le sue tragedie. Questa parte è forse abbastanza banale. La seconda parte è un diario di viaggio on the road in cui Rumiz attraversa l’intero Appennino evitando tutte le strade principali. In questa seconda parte lo spirito di ascolto è più profondo e segue solo in parte personaggi “famosi”, ma si perde innumerevoli volte di fronte a scempiaggini linguistiche e toponomastiche, è ossessionato da Annibale (su cui ha scritto un altro libro .. ora sul mio comodino) e qualunque cosa incontri lungo il proprio tragitto diventa paradigmatica di qualcosa. Un altro aspetto che trovo fastidioso è il continuo ricorso a paragoni geografici: una nuova valle in cui arriva non merita mai di essere se stessa, ma per avere valore deve per forza assomigliare a qualche altro posto già visto.
A Rumiz stanno sulle palle i gerani ai balconi e lo scrive svariate volte nel libro. È esterofilo ma solo perché il “vero” spirito della montagna in Italia è soverchiato da altri valori, altrimenti saremmo noi i migliori. Mah.
La letteratura fantastica e quella fantascientifica non sono così diverse, sembra di capire leggendo questo primo volume della saga di Terramare. La componente psicologica è quella fondamentale nei rapporti tra personaggi e nelle gesta dei protagonisti, ben più della coerenza nel world building o nel linguaggio, che comunque ci sono e sono potenti e sistematici. Ho passato tutta la lettura a consultare la mappa dell’immenso arcipelago, questo mi ha dato grande soddisfazione. Ora voglio con la giusta calma continuare la lettura della saga.
Sto leggendo Seni e uova di Mieko Kawakami. A proposito di uscire dalla zona di confort.