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Informatica igienica

No, le software house scalzacani non bastano piu'.

Un utente nel fediverso, ha segnalato un articolo riguardante la digitalizzazione della sanita' pubblica italiana, nel quale l'autore (Massimo Mangia), dice che, sostanzialmente, i tecnici informatici non possono essere quelli che guideranno la transizione digitale, ma i protagonisti dovranno essere gli utenti.

Gli utenti sopra tutto.

I tecnici sanno come realizzare un sistema informativo ma non cosa serve o potrebbe essere utile agli utenti. È necessario che questi diventino i protagonisti di questa trasformazione.

Questo superficialmente, potrebbe avere in parte senso.

Non è purtroppo sufficiente, da parte dei tecnici, chiedere agli utenti cosa serve loro. Essi non hanno consapevolezza di cosa possono fare le moderne tecnologie digitali (salvo alcuni di loro che costituiscono però un’eccezione). I loro riferimenti naturali sono ciò che conoscono, ossia i sistemi che adoperano o hanno visto o la modulistica cartacea che utilizzano.

Delle due l'una: o gli utenti diventano protagonisti e guidano il progetto, oppure non sanno che cosa vogliono e non possono essere protagonisti per definizione.

Il grosso problema dell'autore, e' che valuta la progettazione di software che, IMHO, sono mission critical, come si progetterebbe un software custom per un'azienda di tramezzini. Checche' ne dicano gli informatici caffeinizzati moderni, progettare facebook, ha ordini di grandezza meno criticita', da un punto di vista del rischio, che progettare un programma di gestione cartelle cliniche di un singolo ospedale (per dire). Ridurre il problema a "i tecnici non possono capire gli utenti", e' ridicolo, se non dannoso.

L'autore vorrebbe vedere una sorta di formazione incrociata, dove il personale sanitario, che dovrebbe essere protagonista, verrebbe formato sulle potenzialita' delle moderne tecnologie, mentre i tecnici informatici, dovrebbero ricevere una migliore formazione per poter comprendere al meglio i desideri del personale sanitario. Questo incrocio di fuoco dovrebbe servire, secondo Mangia, ad ottenere il risultato migliore.

L’obiettivo non deve essere di eliminare la carta (dematerializzazione) né di svolgere a distanza attività che si svolgono in presenza, bensì di perseguire, attraverso la digitalizzazione, l’aumento dell’efficienza, ossia fare di più a parità di risorse, l’incremento dell’efficacia (qualità), ossia ottenere risultati migliori in termini clinici e assistenziali, anche evitando gli errori e gestendo il rischio clinico, ridurre la spesa attraverso l’incremento dell’appropriatezza o l’ottimizzazione della logistica.

Insomma, risparmiare soldi, ottimizzare processi, maggiore qualita', animali fantastici e dove trovarli. Ma sempre facendo parlare uno scalzacane di programmatore (senza offesa), con un medico li' da trent'anni, o con personale che "si e' sempre fatto cosi'". Non funzionera' mai. L'ultima cosa da fare, e' far parlare gli informatici con gli utenti finali. E' il classico progetto che deve essere calato dall'alto ed e' il tipo di progetto che richiede una pletora di specialisti non strettamente del settore sanitario. Paradossalmente, si puo' dire che informatici e personale sanitario, in questo caso, rappresentino quasi l'ultima ruota del carro.

Il problema maggiore, e' che le software house moderne ed "agili", non impiegano nessuna delle figure chiave per portare avanti progetti come questo, o non vogliono pagare dei contractor per fargli consulenza. Figure come:

Eccetera, eccetera, eccetera.

La sanita' e' talmente regolamentata e la scienza medica cosi' ricca di dati, studi e papers, che parlare con il personale direttamente, in questo caso, diventa totalmente inutile. Fare "X", diventa una questione di ricerca nel mondo delle pubblicazioni, vedere se ci sono margini di miglioramento e lasciar fare agli specialisti il loro mestiere. I quali non sono medici, il piu' delle volte.

Il personale medico deve rimanere totalmente fuori dal progetto? Ovviamente no, perche' e' vero, alla fine sono loro gli utenti finali e dovranno essere soddisfatti del risultato finale, con anche la possibilita' di avere voce sugli ultimi test durante la messa in produzione. Tuttavia, non sono loro gli specialisti che devono pensare le funzionalita', come non lo sono i meri tecnici informatici.

Si', e' un progetto che si fa un po' alla vecchia maniera, con specifiche ben definite e calate dall'alto, decise da una mandria di specialisti e approvate da altrettanti, dove i programmatori prenderanno quel malloppone di centinaia di pagine e lo tradurranno in codice, alla perfezione, senza deviazioni dallo standard. I medici ed il personale sanitario, verranno formati nell'usare il prodotto e funzionera', perche' tutti gli specialisti menzionati in precedenza avranno fatto il loro dovere, analizzando quintali di dati estratti dalla statistica medica, leggendo papers e comprendendo tutte le leggi che regolamenteranno il prodotto finale.

Facendo un paragone: avete mai visto un ingegnere strutturale progettare l'impianto elettrico di un palazzo? O organizzare la logistica dei materiali di cantiere? O progettare le tubature dell'acqua? Per quale motivo un tecnico informatico, invece, dovrebbe comprendere o progettare cose (processi di una struttura sanitaria), basandosi solo sulla parola di personale medico (o comunque sanitario), in settori nei quali non ha alcuna competenza? Perche' dovrebbe assumersi questo genere di responsabilita'? Oppure anche un moderno analista, che non e' altro che un programmatore ma con un nome diverso, perche' dovrebbe cercar di comprendere cose per le quali non ha competenze adatte?

Ma soprattutto, perche' dovreste affidare ad un ingegnere informatico il compito di progettare un software del genere, quando l'industria IT spinge per abolire tutto quello che riguarda l'approccio ingegneristico alla progettazione di un software?

Alle software house, mancano gli specialisti di settore e non vi e' "empowerement" che tenga di fronte al fatto che si e' diffusa l'idea che a una software house bastino solo programmatori e non le servano invece matematici, ingegneri gestionali, specialisti di processo e cosi' via, per poter davvero portare avanti progetti mission critical in un settore come quello sanitario e la cosa va peggiorando, purtroppo.

Vi consiglio a tal proposito, un libro:

Atul Gawande, The checklist manifesto

ISBN: 9780312430009

E' un excursus su pratiche che sono considerate, ormai, quasi anatema nel mondo informatico, ma che in medicina hanno contribuito a salvare vite.

Sarebbe ora di riscoprirle, nel nostro mondo, se non si vuole solo tradurre in GUI, quello che fa un pezzo di carta.