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Per Massimo Cacciari il problema che colpisce chi fa filosofia è un problema su cui l’opinione comune sorvola, che non coglie, non afferra. La disposizione, la vocazione filosofica, invece, lì vede un abisso. Per l’opinione pubblica che si muoia può essere un fatto normale, che si nasca può essere un fatto normale o – usando dei termini filosofici propri – perché dovrebbe meravigliare che ci sia l’essere invece del nulla? Un filosofo invece non lo trova normale. Non è meraviglioso che esista tutta questa infinita molteplicità di enti, di cui nessuno uguale all’altro, nessuno identico all’altro, tuttavia in relazione gli uni con gli altri? Non è tutto ciò meraviglioso, tremendo e meraviglioso? Non è tutto ciò un problema?
Chi fa filosofia si meraviglia perché viene colpito da fenomeni che non toccano la maggior parte delle persone e prende in considerazione la loro incoerenza, la complessità che rivelano, le domande che suscitano. E le coltiva. Se qualcosa lo colpisce, chi fa filosofia inizia a inseguirlo dimenticando tutto il resto, anche se la corsa sembra inutile.
È come Alice che insegue il Bianconiglio: non lo fa per diventare più intelligente, ma perché desidera vedere quanto è profonda la sua tana e cosa nasconde.
Chi fa filosofia cerca di scardinare quei meccanismi del proprio pensiero che gli fanno ritenere ovvi dei fenomeni casuali, perché desidera eliminare tutti i filtri che separano i suoi occhi dalla visione della nuda realtà, e così facendo mette in dubbio anche sé stesso e la propria funzione nell’Universo. Cerca di non dimenticarsi mai di essere una minuscola porzione di coscienza in uno spazio sconosciuto e sterminato.