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L'altro ho giorno ho visto "Desiderio di Omicidio" di Shoei Imamura. Il film - senza bisogno di dirlo - è bellissimo. Pero' - lo ammetto - ho posticipato l'appuntamento perché la durata della pellicola è inusualmente lunga. Così ho messo il disco pensando di spezzare la visione in due parti e - infatti - un certo punto mi sono detto: "Adesso metto in pausa e riprendo domani", ma continuavo a guardare il film; dopo dieci minuti di nuovo ho pensato: "adesso lo fermo". Ho proseguito così - ripetendomi periodicamente che era il momento della pausa - fino a quando ho controllato quanto mi rimaneva prima che finisse...mancavano 10 minuti su 150! 😊
Si tratta di un film che potrebbe essere definito d'autore per antonomasia, eppure questo regista compone delle psicologie così credibili (potrebbero essere analizzate come casi di studio in qualche corso di psicologia) che non ci si riesce ad annoiare neanche se non si è abituati a questi tipi di film.
La storia segue le vicende di una giovane donna che intreccia un rapporto molto complesso (per usare un eufemismo) con un ladro che l'ha anche violentata, il racconto mostra i tormenti interiori della protagonista: le esitazioni, ma anche i momenti di coraggio, fino ad arrivare ad una meritata serenità. Di certo il film concede poco alla spettacolarità (ma la fotografia e molto ricercata e Imamura sa usare la camera a mano con maestria e perizia, basti citare la scena sulla strada innevata per prendere il tram: a descrivere cosa passasse per la mente della protagonista - su carta - ci sarebbero volute pagine e pagine; invece poche decine di secondi - muti - spiegano tutto il tormento, l'indecisione e, alla fine, il ribaltamento delle decisioni prese fino a quell'istante.
Eppure ad un certo punto il film mi ha fatto sobbalzare dalla sedia: è successo quando l'amante del marito della protagonista viene investita da un camion. La sorpresa non era dovuta tanto all'incidente in sé (episodio comunque importantissimo che porterà la vicenda ad una felice, ma fortuita, conclusione), quanto - piuttosto - al fascino che esercitava in me questo personaggio che - guidata dall'amore e forse anche da un po' di rivalsa e una punta di gelosia - decide di seguire la moglie del proprio amante, letteralmente, in cima alle montagne per ottenere le prove del tradimento della protagonista e finalmente sposarsi con la persona che ama. E proprio mentre sembra che il destino stia per sorriderle, proprio in quel momento il suo destino si compie davvero.
Dopo aver visto questa scena mi son detto (parlo molto con me stesso durante i film!): "ma come hanno fatto a girarla in maniera così realistica, il film è del '69! Possibile che fosse uno stuntman?". Allora sono tornato indietro e ho visto che si trattava solo di un manichino di quelli che si trovano nelle vetrine per esporre i vestiti ad essere investito!
Solo il coinvolgimento nella vicenda, la forza della scrittura dei personaggi (e la messa in scena, ovviamente!) aveva reso tutto realistico ai miei occhi (e mente!).
Allora ho riflettuto su come oggigiorno gli effetti speciali siano così accurati da simulare l'esplosione di un pianeta nella scala dei ciottoli; eppure certi film - nonostante usino tali mezzi; mezzi che Imamura neanche si sognava - sono così inconsistenti, ripetitivi, le trame setrilizzate ed innocue, i personaggi così sottili, diafani quasi, che mi risulta impossibile provare una qualunque immedesimazione od empatia con loro: sono veramente fumetti nel senso denigratorio del termine.
Come siamo arrivati a questo punto è una curiosità che non riuscirò a soddisfare neanche io prima che il mio destino si compia, lo so. Eppure ci siamo arrivati.
Ciao!
C.