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Alla nostra età (a libera interpretazione se mi stia riferendo alla mia generazione o se più narcisisticamente stia utilizzando un plurale maiestatis) sentiamo ripetutamente principalmente due grandi sentenze, per dirla alla Seneca, che rispecchiano due generali correnti di pensiero la cui esistenza è volta in maniera particolare a spronarci ed indirizzarci verso la direzione giusta che la nostra vita dovrebbe prendere o -teoricamente- ad aiutarci renderci consapevoli di dove noi in fondo vogliamo ci porti questo inesorabile cammino.

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    <img class='u-photo' src='{{ image }}' alt='a dad looking after his kid at London Tate Museum for Modern Art in London, June 2018'>
    <figcaption>a dad looking after his kid at London Tate Museum for Modern Art in London, June 2018</figcaption>
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La prima, a tutti comune e nata con l'umanità stessa, è quella pronunciata dai genitori:

dovresti impegnarti e studiare di più

in linea di massima, con le dovute declinazioni soggettive, il contenuto è quello: i nostri vecchi intendono farci capire che effettivamente ci stiamo perdendo, distraendo, che ci stiamo più o meno sbagliando o illudendo riguardo a qualcosa. In sintesi, che li stiamo deludendo.

Questo perché loro, avendoci generato, ci conoscono meglio di chiunque altro e considerano, amandoci profondamente, come una propria mancanza anche il nostro più piccolo fallimento; tuttavia il significato di questa parola può essere decisamente soggettivo.

Ho controllato sul Treccani, in fondo non mi dà torto:

sul Treccani

1b: la mancanza è nostra o di chi, giudicandoci, ritiene tale una nostra qualunque qualità?

3: gli scopi fissati sono i nostri o di chi ritiene siano per noi i più opportuni?

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La seconda, esiste da sempre, come la prima, ma nella forma di cui parlo adesso solo da pochissimo tempo; mi sto riferendo alla motivazione, all’entusiasmo ed all’energia che vogliono infonderci (o meglio somministrarci) i media, le pubblicità ed i celebri influencer, primi fra tutti quei dannatissimi, onnipresenti ed ubiqui YouTuber:

segui i tuoi sogni, non farti scoraggiare, credi in ciò che fai

fondamentalmente, anche in questo caso, il succo è questo. Il massimo esempio: Casey Neistat, ma ci sono anche tutti gli altri: Tony Hawk, … (dopo la virgola ho perso un botto di tempo a cercare altri video che mi ricordo di aver visto che dicono parole simili ma non li trovo, ce n’è infiniti di HumanSafari, Favij & company)

Casey Neistat

Tony Hawk

Ora, è davvero facile dirci quando stiamo sbagliando.

Quando lo fanno gli adulti, o tutti coloro che il proprio sogno lo stanno già vivendo, semplicemente compiono l’operazione più semplice, comune e automatica del mondo: confrontano le nostre scelte, il nostro comportamento ed atteggiamento ai loro quando si trovavano nella nostra situazione e, se tutto sommato agiamo similmente a come avrebbero fatto loro, approvano ma, se abbiamo un punto di vista incongruente o intendiamo agire in maniera differente, si accende la sirena rossa e cominciano le discussioni, per non dire i litigi, per non dire le urla.

Eppure, nella multietnica Trieste dell’anteguerra c’era questo diciannovenne di nome Hector Schmitz, figlio di un agiato borghese, che, fallita l’azienda paterna, è costretto a rimboccarsi le maniche e subentrare nella gestione dell’attività paterna, ottenendo gradualmente sempre più prestigio sociale e facoltà economiche. Da questo apparentemente comune signorotto triestino nacque Italo Svevo. Nacque colui che nessuno (o meglio, pochi pochi: DUE soli) riconobbe per il suo vero talento, che nessuno conobbe nella sua più profonda aspirazione: la letteratura.

Nascosto dietro le sue vesti di freddo borghese, pubblicò il primo romanzo, pur costretto a cambiarne il titolo ed a proprie spese, che restò pressoché invenduto e privo di successo.

Eccetto il cambiamento di titolo, fu lo stesso con Senilità, il secondo.

Uno, dopo che ha raggiunto 37 anni e ha pubblicato due romanzi che nessuno s’è filato dice: vabbè, i soldi li ho, la moglie pure, me ne sto tranquillo e abbandono la penna, che è meglio.

Eh no. Non così fece il grande Svevo che, durante la Prima Guerra Mondiale, alla quale non partecipò, intraprese la stesura di un terzo romanzo, DEL terzo romanzo: La Coscienza di Zeno. Da qui è inutile raccontare i dettagli: gradualmente nacque addirittura quello che fu definito il Caso Svevo e, soprattutto, venne riconosciuto quello che è uno fra i più grandi romanzi della letteratura italiana.

E io, adesso, a 18 anni, se mi dicono che nella vita sarò un grande pallanuotista, ma amo profondamente le biglie, come faccio a dire loro che a 37 anni potrei diventare il campione mondiale di biglie?

Come fanno le persone a dire cosa è buono, cosa non è sicuro, cosa non sarebbe il caso di fare, cosa ci renderà felici, cosa non saremo in grado di affrontare?

Essere distratti, avere la testa fra le nuvole, dimenticarsi tutto, fare troppe cose male, essere stonati, mettere scarpe di due colori diversi, cercare continuamente nonostante non si sappia cosa, correre senza meta, rompere le cose, scrivere male cose senza senso, avere scarsi risultati a scuola sono comunemente difetti, particolarità che facilmente vengono viste con accezione negativa, che tendono ad essere corrette, che fanno storcere il naso.

senza meta

scrivere male cose senza senso

Ma, eccetto Geronimo Stilton e gli [Eugenio in Via di Gioia](https://youtu.be/CkwnU47TZ1M '“Eugenio in Via Di Gioia - 冰山角 2050 - La punta dell'iceberg„ su YouTube'), chi può dire che nel 2050 il mestiere più prestigioso non sarà il tuttofare incasinato, che la facoltà più ambita non sarà deconcentrazione o che il futuro del mondo non sarà nella ricerca scientifica, matematica o filosofica, ma nella sola Ricerca?

Geronimo Stilton

https://youtu.be/CkwnU47TZ1M

Ricerca

Tutti, ovviamente, dicevano che certi quadri li poteva fare chiunque, che certa gente era matta, che un altro era un genio e non andasse ascoltato o che lo scopo della musica non è quello di far ridere.

certi quadri

certa gente

Però, tutto e tutti dimostrano che non c'è giusto o sbagliato. Che non si deve fare nulla, che si può fare tutto, che solamente crederci non basta, che fallire non vuol dire aver definitivamente fallito, che essere disprezzati vuol dire essere nel torto.

Quindi, caro Casey, fare ciò che non si può non è per forza la chiave.

caro Casey

Essere ciò che si è il modo perfetto per essere felici, perché decidere se qualcosa è sbagliato o giusto è solo una valutazione temporanea e chi afferma una delle due, a meno che non sia eterno e onnisciente (a meno, dunque, che non sia Dio) non ha la più pallida idea di cosa stia parlando, perché non è noi.

Quindi, cari mamma e papà, NON LO SO COSA VOGLIO FARE,

per ora, fino a prova contraria, sono Tommi.