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Mi sto divertendo molto nel tenere questa “serie”. Accumulare foto, buttare giù note mentre leggo, aprire ogni tanto il file per aggiungere un pensiero, o per aggiustare i paragrafi in modo che sembrino avere un senso… Mi sto anche ri-abituando a scrivere, cosa che in questi ultimi mesi non stavo praticamente facendo.
Si inizia a scrivere il 21 gennaio 2021, non so quanto tempo passerà prima di aver abbastanza cose da pubblicare, ma a giudicare da quello che ho scritto in un solo giorno… potrebbe servire poco :)
(pubblicato il 2021-01-30)
Let’s go!
(è un commento a caldo)
Ho finalmente trovato il tempo di guardare Akira! Da anni, per un motivo o per l’altro, ho rimandato e posticipato (hey, è un’arte posticipare!) ma finalmente ci sono riuscito.
Non so bene cosa dire, il film mi ha colpito al punto che mi risulta difficile usare il termine “guardare”, “sperimentare” il film credo sia più appropriato.
Partendo dalle cose più semplici: animazione e grafica sono spettacolari anche per gli standard attuali. Certo, lo stile grafico è diverso dalle serie uscite nei primi del 2000, che a loro volta sono diverse dallo stile attuale, ma è comunque uno spettacolo per gli occhi. Le animazioni sono fluidissime, e la cura nei dettagli delle ambientazioni è quasi maniacale: dal movimento delle labbra quando i personaggi parlano, alle nuvolette che forma il fiato quando fa freddo, ai macchinari fantascientifici, per arrivare alle cose più comuni come i graffiti sui muri o lo squallore dei sobborghi e del locale dove ci viene presentato il protagonista.
Le musiche sono un punto particolare: buona parte del sottofondo sonoro del film non sono propriamente musiche, in certi momenti è più che altro “rumore”, ma messo in modo tale che riesca comunque a creare qualcosa di simile a una melodia. Ci sono vere e proprie tracce musicali come sottofondo, che danno spessore alle scene, ma sono poche. L’uso del silenzio in alcuni momenti chiave è però degno di nota: da tutta un’altra dimensione ad alcune sequenze.
Adesso inizio a comprendere quello che credo sia stato l’impatto che ha avuto: guardandolo mi sono venute in mente scene da altri film/serie che (probabilmente) sono state ispirate, anche solo in parte, da Akira. A caldo mi viene da pensare a Paprika o Serial Experiments Lain, ma non solo. L’ultimo quarto del film mi ha fatto rivivere le stesse sensazioni che mi ha dato lo scontro tra con Bardiel in Evagelion, tra stupore e ribrezzo.
In ogni caso, per Akira in particolar modo penso sia importante guardarlo senza sapere nulla sulla storia, e meno possibile sull’ambientazione. La descrizione che ne da MAL è vergognosa, rivelando già nella prima riga buona parte del mistero che circonda gli avvenimenti del film. Consiglio anche di non far cadere l’occhio sulla lista dei personaggi ;)
Per concludere, sì, non ho capito molto di alcuni avvenimenti del finale, non ho letto il manga, e nonostante questo venga citato spesso come punto debole del film per me non lo è. Potersi chiedere cosa succeda, il poter fantasticare e proporre ipotesi più o meno strampalate è il bello di opere come questa.
Toshiro Mifune nei panni di Tajomaru [PNG, 350K]
Qualche anno fa, dopo aver visto i “7 samurai”, decisi di recuperarmi anche altri film di Kurosawa. Sfortunatamente il piano non mi è riuscito, e fino ad oggi ho visto soltanto “Stray Dogs” e “Drunken Angel”. Ma finalmente mi sono deciso e ho guardato “Rashomon”, tratto da “Nel bosco” di Ryunosuke Akutagawa.
(Nota: per un po’ ho fatto confusione in quanto Akutagawa ha scritto una storia breve dal titolo “Rashomon” che, nonostante abbia un inizio simile al film — un personaggio che si ferma sotto il Rashomon (una delle porte di Kyoto) per via della pioggia — e un probabile collegamento col la scena finale, non ha nulla a che fare con il film, che è tratto da “Nel bosco”.)
Rashomon racconta dell’omicidio di un samurai e delle testimonianze dei personaggi coinvolti nella vincenda che, senza rovinare il film a chi non l’ha visto, non sono completamente concordanti. Per buona parte del film assistiamo alle deposizioni quasi fossimo “la polizia” (per la mancanza di un termine migliore) locale. Non sono molti i personaggi coinvolti e il film è girato interamente in tre posti soltanto: il bosco dove avviene il fattaccio, il luogo dove vengono raccolte le testimonianze e il Rashomon, che funge da cornice alla storia, dove un monaco e un taglialegna raccontano gli avvenimenti e le deposizioni a un passante, mentre aspettano la fine della pioggia.
Devo ammettere che aver letto “Rashomon” (la storia breve) mi ha aiutato a comprendere meglio alcune citazioni presenti nel film: si tratta di una vicenda probabilmente ambientata nel periodo Heian dove, stando al racconto, Kyoto si trovava in uno stato di degrado. Questo ci permette di capire perché il viandante inizi a staccare alcune assi dal Rashomon per accendere il fuoco come fosse una cosa normale, o il riferimento “ai morti presentì qui sopra”: stando alla storia di Akutagawa, i morti non reclamati venivano lasciati nei piani superiori del Rashomon.
Ho iniziato a leggere “Norwegian Wood” di Murakami senza sapere che il titolo fosse una citazione ad una traccia de Beatles: quando me ne sono accorto ho deciso di recuperarmi l’album da cui è tratta, Rubber Soul.
Non ho ascoltato molto dei Beatles e quindi mi è difficile confrontare Rubber Soul con altri lavori del gruppo, però posso dire che non mi ha colpito particolarmente. Non che voglia dire che sia un brutto album, tutt’altro, ma “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” (il mio preferito in assoluto) e il “white album” hanno alzato l’asticella della mia aspettativa.
“Norwegian Wood”, forse per via del romanzo o forse perché stata registrata il giorno del mio compleanno stando a wikipedia, è fin’ora la mia preferita. “Nowhere Man”, “I’m Looking Through You”, “In My Life” e “If I Needed Someone” sono menzioni notevoli, il resto è OK.
Con Urasekai Picnic sto cercando di fare qualcosa di particolare, ovvero leggere la light novel mentre guardo l’anime. Funziona abbastanza bene dato che, almeno fin’ora, un capitolo — o “file” come li chiamano nella light novel — equivale ad un episodio (OK, l’episodio tre è originale dell’anime). Questo mi permette anche di poter comparare i due, cose che trovo abbastanza divertente.
Nell’anime molti dei monologhi interiori di Sorawo sono completamente assenti, cosa che riduce la comprensione che lo spettatore ha di lei: rischia di sembrare un personaggio piatto e capriccioso, quando non è così, anche se però l’episodio 3 (storia originale per l’anime, non presente nella light novel) ha decisamente aiutato.
L’anime inizia con Sorawo che incontra Toriko nell’“Otherside”, una sorta di mondo parallelo dove non è facile entrare. In questo posto sono presenti strani mostri, decisamente simili a quelli di molte leggende metropolitane, di cui Sorawo è appassionata. Scopriremo poi che Toriko sta cercando una sua conoscenza, e convincerà Sorawo a darle una mano.
Fin’ora è stato molto episodico, con un’avventura a settimana, e in parte mi aspetto continui così.
Fatto interessante: non avevo mai visto una serie con una protagonista con eterocromia (occhi di colori diversi) e decisamente poco etero ma in questo inverno 2021 ci sono ben due serie che rientrano in questa descrizione (Urasekai e Wonder Egg Priority).
“Non dire cose strane su mia madre” [PNG, 221K]
Non ho una lista di fumettisti preferiti — sono troppo pigro per redigerla — ma se ne avessi una, Oshimi Shuuzou sarebbe abbastanza in alto.
Una sera iniziai per caso “Aku no Hana” (“I fiori del male”) e non riuscii a smettere di leggerlo fino alla fine, e stessa cosa mi è capitata poi con “Happiness” e con “Boku wa Mari no naka” (“dentro mari”). “Boku wa Mari no naka” in particolare è stato fin’ora il mio preferito di questo autore.
“Chi no Wadachi” (“Prova di sangue”) dello stesso autore, in serializzazione, racconta della distorta relazione tra una madre iper-protettiva (a dir poco) e suo figlio, e degli eventi che li coinvolgono. Rischia seriamente di superare anche “Boku wa Mari no Naka” nella mia lista. È il più lungo tra gli altri manga dello stesso autore, che in genere stavano sui 60-80 capitoli. Le tavole sono in pari con Happiness per la bellezza, e a differenza di quest’ultimo anche la storia procede solidamente, senza accelerazioni improvvise, e con alcuni colpi di scena intriganti.
Il punto spesso non è solo la bellezza oggettiva di alcune tavole, ma anche quanto quelle tavole siano in sinergia con la storia. In quello che ho letto fin’ora di Oshimi Shuuzou, è quello che succede. Le sue tavole sono belle, eppure il modo col quale riesca a presentare le espressioni dei personaggi, o scegliere le “inquadrature” da cui mostrare la scena al lettore che creano la magia. È ciò che mi ha tenuto incollato una notte intera ad Aku no Hana, che non sono riuscito a smettere di leggere fino all’ultimo capitolo, o con Mari, e anche con Chi no Wadachi. Questo e gli strani temi che affronta nei suoi manga.
Koichi nel notare Kaho [PNG, 539K]
Dopo essere tornato nella dipendenza da Shuuzou, nell’aspettare la pubblicazione di Chi no Wadachi ho iniziato un altro manga dello stesso autore: “Hyouryuu Net Cafè” (“Drifting Net Cafè”).
Devo ammettere che, per quello che ho letto, è il più debole tra gli altri dello stesso autore. Si tratta di una sorta di horror, o qualcosa di simile, dove un gruppo di persone rimangono chiuse in un net cafè che si “teletrasporta” in un luogo strano. I personaggi infatti rimangono bloccati una sera in un internet cafè per via di un tifone, e la mattina si accorgono di non trovarsi più a Tokyo, ma in un posto strano, un modo piatto e vagamente paludoso.
Ciò provoca lo scompiglio tra i personaggi, che avevano mogli, parenti e amici ad aspettarli nel mondo normale e che non sanno se mai più li rivedranno. In tutto questo, alcuni iniziano a credere che non torneranno mai più indietro e quindi alcuni freni inibitori posti dalla società pian piano iniziano a svanire.
La storia si apre con il protagonista che, per prendersi una pausa tra lavoro e moglie incinta a casa, decide di passare qualche ora di relax in un internet cafè. Lì finirà per incontrare una sua vecchia conoscenza dei tempi del liceo, e sembra che l’autore voglia farci credere che il suo desiderio che quella notte non termini sia in qualche modo collegata agli avvenimenti successivi, cosa che però non mi aspetto.
In ogni caso, una buona lettura per lenire il dolore nell’aspettare Chi no Wadachi.
$BlogIt: index.gmi,v 1.1 2021/10/20 07:41:49 op Exp $