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Da quando è iniziato il lockdown nel 2020 ho ricominciato a guardare il cielo stellato. Perché? Perché ho trascorso moltissimo tempo a Marzano, lontano dalla città quanto basta per spegnere un po' di inquinamento luminoso e con tempi di vita un po' meno frenetici. Tempi che ti permettono di andare a dormire mezz'ora più tardi la sera. Il lavoro da casa dovrebbe servire anche a questo.
C'è qualcosa che non torna però. Ho vissuto a Marzano ininterrottamente dal 1987 al 2005, e poi di nuovo dal 2014 al 2017 anche se facendo il pendolare. Perché solo adesso mi sono messo a guardare il cielo? In effetti, non è la prima volta. Quando ero piccolo mi piaceva sicuramente molto, e una volta, che non saprei collocare esattamente ma forse quando avevo circa 10 anni, mi è stato regalato un libricino tascabile con tutte le costellazioni. Me lo ha regalato Francesco Conenna, mio quasi coetaneo, che poi qualche anno dopo è morto andando sugli sci. Il libricino c'è ancora. L'ho portato anche in Patagonia nel 2014, dove ero sicuro che avrei visto un cielo stellato altrove impensabile, come nella Penisola Valdés.
Sta di fatto che l'astronomia mi è sempre un po' piaciuta, ma mai da diventare una passione. Gli insegnamenti scolastici sono una profonda delusione su questo fronte, e adesso che grazie a un podcast sto riscoprendo l'astrofisica "for dummies" sono ancora più deluso della fisica astratta che mi è stata insegnata. Una fisica in cui riuscivo benissimo e che ho deciso di non seguire negli studi universitari proprio perché la trovavo insopportabile, anche con le sue ambizioni filosofiche.
Mi è sempre piaciuto guardare il cielo ma per tanto tempo sembra che io non ci abbia fatto molto caso. Mai a Siena, dove pure fuori città il cielo non era così inquinato e avevo persino una finestra a tetto. Mai a Torino, ovviamente.
All'inizio di "Seni e uova" Mieko Kawakami scrive di come una casa povera avrà sempre poche finestre. Io non ho mai vissuto in una casa povera, ma sicuramente la casa nuova di Marzano è quella che ha più finestre in assoluto. Dalle finestre sommate tra loro riesco a guardare quasi ogni angolo di cielo, ad esclusione della parte più bassa verso Nord che a Marzano è proprio nascosta dalle montagne. Se mi affaccio a Sud vedo senza difficoltà metà della volta celeste, ogni notte senza nuvole è uno spettacolo incredibile. A marzo 2020 ho anche fatto qualche passeggiata intorno a casa la sera tardi, forse è in quel momento che ho iniziato a guardare di nuovo il cielo.
La differenza principale in cosa consiste? Ho sempre visto e riconosciuto la costellazione di Orione. L'Orsa Maggiore, la Stella Polare. Poco altro. La scorsa estate è stato con Demetrio che ho iniziato a guardare il cielo tutte le sere e a mostrargli Giove e Saturno nella loro danza, Marte il rosso quando è comparso in cielo qualche tempo dopo. In contemporanea ho iniziato ad ascoltare il podcast PARSEC che oltre a farmi appassionare allo spazio ha sempre una rubrica dal titolo invitante "Cieli sereni". E qui, passo dopo passo, torniamo a questo inverno e alla consapevolezza di cui sto scrivendo ora.
Da qualche mese ho imparato a conoscere la costellazione dei Gemelli, con Castore e Polluce. A trovare a colpo sicuro le Pleiadi. Li ho mostrati a Demetrio ogni volta che ho potuto. È difficile far crescere dentro di sé la meraviglia per l'Universo se qualcuno non ci racconta come è fatto. Se nessuno ci mostra cos'è una gigante rossa, quel pallino arancione luminoso.
Nelle ultime settimane sto seguendo il movimento del cielo e ho imparato a riconoscere la "falce" della costellazione del Leone. Queste costellazioni sono così grandi, che c'è bisogno di spazio per guardarle e di tempo perché gli occhi si abituino al buio. Ho imparato ad aspettare il sorgere di Arturo e della Vergine, quando si può. Conoscere le stelle, i loro nomi, mi sembra indispensabile per riuscire a guardarle senza perdersi. Il cielo è così grande. Così scorro pagine di Wikipedia, memorizzo nomi e forme che poi diventano visibili, come la "falce" di cui non avevo mai sentito parlare. Mi piacciono i nomi arabi delle stelle e mi piace leggere come vengono chiamate nelle altre culture del pianeta Terra.
L'anno scorso avevo provato qualche volta a usare il telescopio per guardare i pianeti. Ero riuscito a guardare Giove, ma comunque non è un telescopio astronomico e si fatica molto per un risultato scarso. E si perde la meraviglia di stare con il naso all'insù, di seguire percorsi. Ora mi aiuto con alcune app per il telefono (SkyMap, Planisphere), oppure se ho molto tempo a disposizione con Stellarium. Questo mi aiuta, poco a poco, a prendere dimestichezza con le nuove stelle che ho sempre visto senza mai guardare. All'inizio sono sempre disorientato, cerco punti di riferimento saldi, asterismi inconfondibili. Quando siamo a Sampierdarena è un esercizio un po' penoso, ma è anche un tuffo di felicità riuscire a vedere Orione dalla finestra, Castore e Polluce in un angolo di cielo tra i tetti dei palazzi vicini.
Castore e Polluce sono le due stelle principali della costellazione dei Gemelli, Gemini. Quindi anche un piccolo protocollo Internet sperimentale che si ispira all'età “eroica” dell'esplorazione spaziale mi ha spinto a guardare verso l'alto.
Perché tutto questo non era possibile prima? Forse perché ho sempre passato molto tempo davanti al computer, con una giornata scandita da orari rigidi (corriere, treni, lezioni, lavoro) in cui stare sveglio la sera non era concepibile. Eppure in inverno già alle 9 di sera il cielo è buio. Forse perché le mie finestre erano "sfortunate" e non avevano quello scorcio inconfondibile che ti fa rimanere ancora a guardare invece di chiudere e andare a dormire. Forse perché quando fa freddo le persiane si chiudono presto presto e arrivederci al cielo stellato. Sicuramente sono tutte queste cose insieme.