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Cosa vuol dire saper scrivere.
Non ho idea del significato di saper scrivere, non riesco assolutamente a comprenderlo, ma contemporaneamente mi sorprendo di quanto inafferrabile sia il concetto finché non si palesa. Leggere e pensare: “adoro questa scrittura”. Ecco. Come accade questo? Esiste una spiegazione universale a questa esclamazione nella nostra testa? Com’è possibile che certi concetti siano espressi magistralmente producendo così tanta emozione? Dove sta esattamente la differenza fra un 8 e un 10 di un tema di italiano?
<figure> <img class='u-photo' src='{{ image }}' alt='rassegna stampa de Il Post, con Francesco Costa e Luca Sofri, presso il circolo dei lettori'> <figcaption>la rassegna stampa di questa mattina al Circolo dei Lettori di Torino, con Luca Sofri e Francesco Costa, durante cui mi sono venute in mente queste domande</figcaption> </figure>
Vorrei indagare, studiare, scoprire come la capacità di scrittura, la buona penna, funzionino. Come riescono ad influenzare chi legge. Vorrei studiare le parole, capirle, innamorarmene, ripeterle, pronunciarle con voce profonda, sussurrarle, scriverle, rileggerle, innamorarmene ancora di più e farle mie. Vorrei spezzare le catene che mi legano e mi soffocano quando devo esprimere un’emozione ma nessuna parola riesce anche solo ad avvicinarsi al significato che è ben impresso nella mia mente e vorrei fermarlo su un foglio prima che possa scappare e fuggire per sempre. Eppure so perfettamente che quella parola c’è, non sulla punta della mia lingua, dove dovrebbe stare se “sapessi scrivere”, ma intrappolata nel sentimento stesso che descrive ed io sono incapace di liberarla, perché non la conosco abbastanza da ricordarmene, o meglio, non conosco sufficienti trucchi per sedurla, solleticarla, smuoverla e farla uscire fuori. Perché non sono capace, non riesco a darle il valore che Jimi Hendrix riesce ad attribuire alle vibrazioni intense di ogni singola nota che suona. Non riesco a modellare una frase e farla scivolare naturalmente dall’inchiostro della penna, o farla apparire magicamente sul mio display esattamente come l’ho pensata. Lo faccio lo stesso, però. Scrivo, e sbaglio, e metto le “e” dopo la virgola, e utilizzo termini letterari fuori luogo o invento forme sintattiche complesse solo per ovviare alla mia mancanza, facendo sempre un sacco di errori. Invece non muore, anzi cresce, sempre più importante e rispettata, la mia ammirazione per ciò che nasce da tutto questo pasticcio. Quello che viene fuori dalle parole, quelle che compongono l’essenza della nostra comunicazione diventando l’essenza di noi stessi. Le parole sono chi siamo. Sapere trovare quelle giuste, associarle e confonderle con maestria è un’arte che deve perdere automatismo e meccanicità , ma acquistare consapevolezza e passione. Poterle leggere è un'onore, un rito, un momento unico e inviolabile, sorprendente ed entusiasmante. L’entusiasmo, benzina del lettore selvaggio che smette di curarsi delle formalità e ignora totalmente tutti i crucci di cui ho parlato finora perché concentrato nella totale venerazione dell’effetto stupefacente che anche solo una decina di pagine possono avere su di lui.
Finché noi lettori rimarremo selvaggi, appassionati, disperatamente attaccati ai nostri libri ed ai nostri mondi paralleli che saremo incapaci di abbandonare per il resto della nostra vita, sarà in ogni caso meno importante come racconto le mie cavolate, ma mi sentirò sempre in dovere di mostrare il massimo rispetto e continuare ad amare coloro che mi permettono di farle uscire dalla stupida illusione della mia testa renderle vere, per tutti: le parole.
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