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Qualcuno mi ha consigliato di scrivere qualcosa sul mio infortunio, tanto più che sono a casa tutto il giorno a far niente. E così faccio.
Dunque. Sono in infortunio INAIL da un bel po' di giorni ormai. Diciamo più di due settimane; ma come tutte le cose della vita, belle o brutte che siano, anche questa volge al termine e martedì, tre giorni da ora, sarò nuovamente al lavoro.
Questo vuol dire: sveglia puntata, mancata colazione, scelta tra tram affollato (e pregno di coronavirus) o smog in bicicletta con la concreta possibilità aggiuntiva di essere schiacciato da un camion lungo la via.
E tutto questo ancora prima di passare il tornello della nota azienda parastatale che ogni 27 del mese mi passa il suo magro stipendio.
Fatta questa doverosa premessa veniamo al triste fatto di quel dì di fine gennaio che mi ha visto protagonista e vittima. Certo, più che altro vittima di me stesso e della mia stessa dabbenaggine, come vedremo.
Quella mattina tra tram e bici avevo scelto il primo. Scelto per il rigore del lungo inverno milanese che resiste alla faccia del riscaldamento globale. Scelto perché la portentosa app di navigazione del mio telefono mi annunciava che l'1 (inteso come tram) sarebbe arrivato alla mia fermata entro 7 minuti. Giusto il tempo per infilarmi le scarpe da pioggia e camminare speditamente fino all'incrocio tra viale Certosa e viale Serra.
Ma sto divagando. In effetti il viaggio di andata fino al tornello si è svolto nella tempistica prevista e senza particolari scosse, quindi è inutile al fine di questo testo indugiarvi ancora.
Sorvolo quindi sul viaggio di andata, sul mio lavoro, sulla presenza o meno delle polpette di carne alla mensa aziendale e mi concentro sul viaggio di ritorno.
Ora. Ci sono due fermate del tram nei pressi di casa mia. Più o meno alla stessa distanza. Mia somma curiosità in quel tempo era scoprire quale mi permettesse di arrivare prima a casa: la prima o la seconda?
Tutte le maggiori menti del comunità scientifica mondiale riconoscono l'importanza di arrivare a casa uno o due minuti prima, di togliersi il cappotto e le scarpe uno o due minuti prima. Poi metti che quel giorno ti scappi la cacca moltissimo, quei minuti possono essere fondamentali.
Per scoprirlo già da qualche settimana avevo progettato un piano geniale strutturato in due fasi:
Avrei così avuto due valori cronometrici da confrontare per decidere come strutturare i miei viaggi di ritorno futuri.
Ripeto. Un piano geniale.
La prima fase si era svolta senza incidenti non appena il piano era stato partorito, circa un mese prima del fatto. La seconda fase si era arenata a causa di circostanze contingenti. O in altre parole perché continuavo a dimenticarmi di far partire il cronometro al momento giusto -- e mi rallegro di ciò perché credo sia un segnale del fatto che non sono ancora completamente autistico, ma autistico solo in parte.
Ecco. Quella piovosa sera di fine gennaio mi sentivo dunque abbastanza autistico da voler soddisfare la mia brama di sapere.
Quindi dopo aver fatto partire per tempo il cronometro e aver aspettato pazientemente la seconda fermata, sono sceso dal tram e mi sono avviato verso casa.
La fermata ATM Certosa-Grosotto in direzione Roserio è situata su uno degli spartitraffico che dividono le corsie centrali di viale Certosa dai controviali laterali.
È uno spazio angusto, affollato e deprimente, specie nei giorni di pioggia quando gli inevitabili urti tra gli ombrelli aperti e inzuppati producono fiotti di acqua gelida che immancabilmente si infilano nello spazio tra il collare del cappotto e il collo nudo degli sfortunati astanti.
Oltre a coloro che erano appena scesi dal tram, oltre a coloro che cercavano disperatamente un varco tra gli ombrelli per salire sullo stesso tram, oltre a coloro che avevano già attraversato il controviale e attendevano che l'eterno semaforo pedonale diventasse verde, oltre a tutte queste persone, quella piovosa sera ero lì anch'io. Ero lì, umido, infreddolito e di pessimo umore, come erano umide e di pessimo umore anche tutte le altre persone in quel consesso.
Prima di passare all'enunciazione delle varie e successive fasi dell'infausto evento, tengo a sottolineare che dall'accaduto ho ricavato un trauma distorsivo al piede sinistro con edema dell'avampiede e della regione perimalleolare peroneale, come da esame medico obiettivo. In altre parole mi sono stortato la caviglia, ma detto così suona molto molto più grave.
Io, storicamente, non ho mai dato troppo peso al concetto di distorsione. Mi sono sempre stupito del fatto che gli sportivi, subite delle distorsioni dovessero affrontare mesi e mesi di recupero prima di tornare alle competizioni. Non saprei perché, ma la parola "distorsione" mi ha sempre dato l'idea di un infortunio minore, qualcosa di fastidioso ma guaribile facilmente.
Adesso ho cambiato idea. La distorsione fa un cazzo di male e te la porti dietro a lungo.
Sto divagando perché in realtà non mi è chiaro come sia successo che mi sia stortato la caviglia. Ricordo di aver attraversato, in mezzo a un nugolo di persone, il viale centrale di scorrimento e di essere arrivato sul secondo spartitraffico.
Gli spartitraffico di Viale Certosa hanno una parte, vicina ai semafori pedonali, che non è rialzata, ma è all'altezza del piano stradale, teoricamente per consentire l'accesso ai disabili. Molto teoricamente, viste le consuete condizioni generali del luogo che ho testé descritto.
A delimitare la parte rialzata dello spartitraffico, dalla parte a filo strada, c'è ovviamente un gradino.
Può capitare che il passante che arriva in quel luogo metta il piede sulla parte a filo strada. Può capitare che lo stesso passante metta il piede sulla parte rialzata.
Può anche capitare, anche se ammetto essere un avvenimento notevolmente più raro, che il nostro passante metta solo una piccola parte del piede sulla zona rialzata. In questo raro caso la parte esterna dello stesso viene spinta verso il basso dall'intero peso del corpo del suddetto passante. Ciò in ossequio alla Legge di gravitazione universale di Isaac Newton e alla Teoria della relatività generale di Albert Einstein.
Diciamo che una parte del piede resta su mentre un'altra parte va giù. In pratica il piede si storta. Da qui l'evidenza etimologica del termine distorsione che in questi giorni mi è apparsa limpida come non mai.
Questa è l'enunciazione teorico-pratica dell'accaduto. L'enunciazione dei miei pensieri negli istanti successivi è qui omessa in quanto costituirebbe reato ai sensi di legge per ciascuno dei seguenti capi:
1. villipendio della religione dello stato (art. 402 c.p.)
2. villipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate (art. 290 c.p.)
3. villipendio della bandiera o di altro emblema dello Stato (art. 292 c.p.)
4. offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica (art. 278 c.p.).
È nota la reazione standard di un milanese che cammina tranquillo per i fatti suoi alla vista di uno sconosciuto che saltella su un piede solo, soffocando in gola un disperato "Aaaahhhh!!!" di dolore: continuare a camminare tranquillo facendo finta di niente.
Infatti non stupisce che tutti i milanesi presenti siano rimasti fedeli alla reazione standard.
Il dolore è stato intenso, ma già nel giro di qualche istante sembrava affievolirsi, quindi ho appoggiato il mio sinistrato piede sinistro a terra e ho proseguito zoppicante il cammino. In quei momenti i miei pensieri spaziavano tra due argomenti distinti: "Aahhh... che male... che male... ecco, il mio geniale cronometraggio se ne sta andando a puttane... che male... chissà quand'è che mi torna in mente di far partire il cronometro... che male... aahhh!".
Ripensandoci a freddo rilevo se non altro una certa passione da parte mia nel voler andare fino in fondo con i miei progetti, lottando tenacemente contro ogni avversità del destino.
Vorrei concludere questo primo capitolo della mia storia con il dato che, sono sicuro, ogni lettore sta ansiosamente aspettando.
Il tempo cronometrato scendendo alla prima fermata è stato pari a 6 primi e 24 secondi.
Il tempo cronometrato scendendo alla seconda fermata è stato di 6 primi e 07 secondi.
Considerando che quest'ultimo valore è falsato dal fatto che quasi tutto il percorso a piedi è stato fatto praticamente saltellando su un piede solo, posso concludere che la seconda fermata sarebbe nettamente migliore della prima.
Sarebbe nettamente migliore se la seconda fermata non portasse sfiga.