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2014-11-03
Mi hanno detto che la lingua italiana è un maschio eterosessuale. Deve essere vero.
In effetti cosa ci si può aspettare da una lingua che non è altro che il discendente diretto del dialetto fiorentino del XIII secolo; tempo lontano nel quale, la parte più avanzata del mondo riguardo ai diritti delle donne era certo il mondo islamico retto dalla Shari'a, la stessa legge che oggi è comunemente tacciata (tra le altre cose) di inaccettabile e insopportabile maschilismo.
Lingua dunque creata dagli uomini per far comunicare gli uomini. Non dovrebbe stupire il fatto che non sia molto adatta a declinare al femminile concetti che non erano declinabili quando la lingua si formò.
Quindi niente forme femminili per termini come *direttore, ministro, presidente, avvocato, giudice*, eccetera. A patto di non inventarli di sana pianta forzando le regole generali della declinazione di genere e ottenendo risultati dal suono strano (*ministra, presidentessa, avvocata*) oppure che duplicano parole già esistenti (la *direttrice* dell'autostrada), quando non involontariamente ridicoli (*giudicessa*).
E, evidentemente, niente forme maschili per termini come *casalinga* o *prostituta*.
Ne consegue che, decisamente, la Firenze del XIII secolo, fiorente di ricchezze, commerci, arti e scienze, non doveva essere un gran bel posto per le donne. E a ben pensarci non lo deve essere stata neanche nei secoli successivi, e neanche il resto d'Italia, né il resto d'Europa.
La tendenza alla parificazione tra i sessi (dove con parificare intendiamo che una donna può diventare direttore o ministro di qualcosa, e un uomo può diventare casalinga) è cosa recente. Il diritto al voto per le donne in Italia esiste da 68 anni. Il codice civile non riconosce più il marito come capofamiglia automatico da 39 anni. Le donne possono accedere alla carriera militare da 15 anni. Cosa recente appunto.
La lingua è un organismo vivo dicono i linguisti; e hanno ragione. La lingua si evolve con l'evolversi della società e della cultura (e anche della non-cultura). Si evolve spontaneamente, nella maggior parte dei casi. È impossibile, il più delle volte, imporre delle riforme alla lingua parlata. Questo perché il linguaggio coinvolge parti del cervello non molto influenzabili dalle disposizioni di legge pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Diciamo che il cervello parla da solo e da solo sceglie le parole da usare. E ci vuole tempo prima di convincerlo a modificare il proprio modo di parlare.
Specialmente quando la direzione da seguire è confusa.
Confusa è appunto la polemica riguardo alla misoginia della lingua italiana, che vede due tendenze principali e contrapposte:
Alcuni sostengono che bisogna declinare sempre tutto, anche inventando nuove parole (esempio: se una donna venisse promossa al grado di *colonnello* dell'esercito, bisognerebbe chiamarla *colonnella*). Questo quando il termine declinato al femminile non diventi palesemente ridicolo o irrispettoso (esempio: se la stessa donna, proseguendo nella carriera militare, fosse promossa al grado di generale, non diventerebbe mai *generalessa*, perché il termine *generalessa* ricorderebbe troppo le commedie sexy degli anni '70). **Chi non lo fa è irrispettoso verso le donne perché non le accetta come tali.**
Altri sostengono che i termini per cui non esiste un corrispettivo femminile vadano semplicemente lasciati al maschile. Qui non è chiaro se vada lasciata tutta la frase al maschile o solo il termine specifico (esempio: *il ministro Boschi si è recato alla Camera* oppure *la ministro Boschi si è recata alla Camera*). **Chi non lo fa è irrispettoso verso le donne perché le caratterizza come femmine invece di caratterizzarle per il ruolo che ricoprono.**
Sembrerebbe dunque che non esista alcun modo di parlare in italiano senza offendere qualche donna o qualche linguista. Potremmo decidere che la nostra lingua non è più adatta a vivere con noi in una società moderna e politicamente corretta e sostituirla con un'altra migliore.
Non credo però che, perfino questa drastica soluzione, porrebbe fine a problema. Questo perché penso che la lingua sia solo la scusa per sottolineare una questione più generale: quella della persistente discriminazione che vede le donne ancora drammaticamente sotto-rappresentate negli incarichi più importanti o prestigiosi.
Perché prendersela con la lingua italiana, invece che rivolgere i propri strali verso i responsabili (in genere maschi) di questa situazione?
A mio parere non è irrispettoso nominare una donna con un termine maschile; tanto più che esistono anche numerosi casi contrari.
Termini come *guardia* o *sentinella* sono femminili e restano tali anche quando si riferiscono a uomini. E nessuno sano di mente potrebbe mai pensare che sia più rispettoso verso gli uomini forgiare frasi tipo: *Il sentinello è rimasto sveglio tutta la notte davanti al portone*.
Quindi perché la Boldrini non può essere *il presidente* della Camera? O la Boschi *il ministro* per i rapporti col Parlamento? Dov'è l'offesa?
Ricordo con un certo divertimento che tempo fa Elsa Fornero, all'epoca *ministro* del governo Monti, ebbe da ridire sul fatto che venisse spesso appellata come "*la Fornero*", considerando questo atteggiamento come offensivo nei suoi confronti come donna. Evidentemente, nonostante i suoi trascorsi universitari, ignorava il fatto che nell'italiano regionale lombardo è pressoché obbligatorio anteporre l'articolo ai nomi femminili. Non vedo poi cosa ci possa essere di così offensivo e irrispettoso in un articolo determinativo.
Questo parossismo, a mio parere, non solo è inutile e fastidioso, ma sposta l'attenzione dalla vera questione, che non è linguistica, ma sociologica.
D'altra parte viviamo, anche se solo da poche decine d'anni, una fase di passaggio che sta portando a un concreto ed effettivo miglioramento della condizione della donna, e questo è innegabile. E credo che la anche nostra bella lingua, con i suoi tempi e con le sue modalità, alla fine non potrà che adeguarvisi.
Tanto più che più della metà delle persone che la utilizzano è donna.
Dicevamo che la lingua italiana è il dialetto fiorentino del XIII secolo. La lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio come ci raccontavano a scuola, mentre la maggior parte di noi copiava i compiti dell'ora successiva. Dopo di ciò la lingua italiana si è fatta un sonno di seicento anni, sparendo dalla comunicazione spicciola e sopravvivendo solo come lingua letteraria. Poi venne recuperata
Quando il genere è dubbio, non esistendo il neutro, si sceglie sempre il maschile. Quindi un gruppo di 10 donne è declinato al femminile, un gruppo di 9 donne e un uomo si declina al maschile.