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La Piaga del Drago” di Anna Mantovani (4 su 5)

Distopico con un pizzico di fantasy

Perché ho scelto di leggere questo libro? Una copertina interessante, ma una trama che lo è ancora di più e, soprattutto, perché non avevo ben chiaro a quale genere appartenesse il romanzo. Ora posso dirlo.

Uno sci-fi distopico che strizza l’occhio al thriller e con un pizzico di fantasy (draghi!). Troppo? No, una buona mescola dal sapore classico (almeno per me) e ben scritto.

La trama è senza dubbio avvincente: un virus causato dal ritrovamento di uova di drago e dal lavoro di laboratorio, una ragazza che deve superare mille avversità per sopravvivere e aiutare il mondo, un poliziotto costretto a fare i conti con sé stesso e una realtà (sociale e politica) che gli riserverà non poche sorprese.

Non vado oltre per evitare spoiler e soprattutto per evitare – involontariamente per carità – di dare indizi sui colpi di scena, che di sicuro non mancano e che a mio avviso ricalcano il concetto di colpo di scena “vecchio stile”. Sì, perché alla fine ci sono almeno due modi di affrontare i colpi di scena: e se quello più “moderno” può essere rappresentato dal rendere il lettore consapevole di quello che accade e lasciando i personaggi all’oscuro di tutto solo fino al momento culminante, l’altro è quello di lasciare entrambi (personaggi e lettore) inconsapevoli della verità e svelare tutto (o quasi) nel climax con un bel “Ta-daa! Colpo di scena!”.

Ho molto apprezzato l’idea generale, perché tratta un argomento molto attuale e ho trovato degli elementi che mi hanno molto ricordato 1984 di George Orwell: nulla che possa sembrare una copia, ovvio, ma una rivisitazione in chiave “pandemica”. E come non cogliere il richiamo alla Psicopolizia di Orwell quando si legge della Polizia Medica della Mantovani, oppure nelle differenze sociali? Come in 1984 i reietti assaporano una vita “normale” di certo molto dura, ma più simile a quella del lettore (cibo, rapporti sociali, senso di libertà) mentre chi è all’interno della nuova società è costretto ad un sistema vincolato e vincolante di lavoro, controllo, razionamenti di cibo sintetico e rapporti umani molto distaccati. Come nel romanzo di Orwell ho trovato questo sistema leggermente paradossale (soprattutto nel sistema degli approvvigionamenti) ma nulla che non sia coerente con un sistema di città e società futuristica.

I personaggi sono fantastici. La caratterizzazione, la coerenza generale, i risvolti psicologici, i rapporti tra loro e la trama. Non è facile tenere testa ad un genere come il distopico, ed è facile cadere nella banalità di personaggi che devono adeguarsi per mantenere la storia “avvincente”. Nel caso di questo romanzo nessun personaggio appare come un manichino costretto a recitare una parte che non gli appartiene; sono invece coerenti, reali, e più volte ho annuito da solo mentre leggevo, perché ho apprezzato tantissimo tutte le scelte, anche di quei personaggi che appaiono per un paio di battute. Più in particolare c’è una distinzione tra i due protagonisti: perché se nel plot di Sophie c’è maggiore azione (senza mai dimenticare il risvolto psicologico) in quello di Erik Persson c’è una predominanza della sua introspezione, dei motivi che lo legano (o lo allontanano) da ciò che crede del suo lavoro e della società. Mi è piaciuta molto questa contrapposizione, che tiene le redini sul ritmo del romanzo in modo impeccabile e solo in rari momenti ho notato che i pensieri dei personaggi ripetono fatti già accaduti, a mio avviso sottovalutando un po’ la memoria e l’attenzione del lettore.

Il linguaggio, sia dei personaggi che della voce narrante, resta secondo me troppo nelle righe. Non è certo una regola, ma un mio personale punto di vista: in un futuro distopico – e in particolare nel “mondo” dei reietti al di fuori della società centrale – mi aspetto un linguaggio a tratti più duro, non necessariamente volgare, ma ho avuto l’impressione che lo stile usato dall’autrice sia volontariamente tenuto a bada per rendere il romanzo fruibile non solo ad un pubblico giovane ma anche a chi preferisce uno stile più “morbido”.

Un finale rivelatorio e appagante, ma che approfondisce poco l’aspetto politico di Europa, mette il timbro ad un libro che mi sento di consigliare a tutti; anche se devo dire che sono rimasto piacevolmente stupito dall’apprendere di un sequel: “La città del drago”. Credo che proprio nel sequel sia trattato – oltre alle questioni ancora in sospeso – proprio l’aspetto della politica e i giochi di potere che, pur essendo evidenti come conseguenze, non hanno avuto molto spazio in questo primo romanzo. Ho già messo in wishlist il secondo volume perché la storia – devo essere sincero – mi ha incollato alle pagine.

_EOT

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Speculative fiction author about horror, thriller, fantasy and sci-fi
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