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"La Magnolia Bianca" di Sara Carucci e Alessio Miraglia (4 su 5)
È banale lo so, ma ogni libro, ogni storia raccontata, porta al proprio lettore emozioni ed esperienze che posssono essere diverse. Ci sono casi in cui delle storie – magari per uno specifico desiderio dell’autore – trasmette esperienze limitate ad una singola sfera emotiva, mentre altre ne trasmettono molte e addirittura opposte. Ecco, forse l’esperienza più forte che mi ha regalato questo libro è quella della contraddizione. Beninteso non parlo di “contraddizione” nella sua accezione negativa di incoerenza narrativa quanto, e anch’io in termini vagamente contraddittori, nella forma di opposizione di esperienze, di emozioni, di chiavi di lettura. E questo a mio personale giudizio è un bene.
Trovo il libro nella sezione “romanzi rosa” di Amazon, ma potrebbe parimenti trovarsi nella sezione “fantasy” mentre un po’ meno in “narrativa generale”: sebbene l’opera contenga alcune particolarità che potrebbero essere inserite nella letteratura mainstream, non mi sento tanto ardito da collocarlo in quest’ultimo e meno specifico settore che – invece – protende verso il filone del realismo magico. Nel caso de “La magnolia bianca” l’elemento soprannaturale – e addirittura divino – prende il sopravvento, per poi lasciare il posto all’elemento emotivo nel senso stretto del termine – il rosa appunto – e ancora dopo riappropriarsi del lato magico, metaforico, verso l’esperienza dell’esistenza stessa, verso il tramandare e il rinnovarsi di emozioni universali come amore, odio, invidia, compassione.
La storia prende vita nella figura di Satana e si rinnova con esso, riversa le emozioni positive nella metafora della magnolia bianca che resta immutata e quelle negative nel concetto di esistenza stessa. Può l’esistenza essere un tormento? Può l’amore, l’attaccamento ad esso, causare esistenza e tormento nella stessa misura? Il troppo amore causa tormento, ed ecco che torna l’aspetto dell’opposizione: arrivare a tradire per il troppo amore è possibile se il peso che diamo ad esso è troppo grande da sopportare. E l’opposizione la troviamo nell’umanizzazione dei demoni, del diavolo che diventa coscienza e cosciente di sé, del suo ruolo, della possibilità di non sapere se il fine ultimo è davvero l’amore o la vendetta, delle opposizioni che gravitano attorno alle proprie scelte.
E nell’opposizione di demoni inaspettati, pronti ad accettare emozioni “umane” e di etica sociale, troviamo uno sfondo classico (non banale!) di un inferno Dantesco: di dannati costretti a subire il “lavoro” dei diavoli, del gelo vicino a Satana superiore al calore, dell’assenza di stelle agli occhi di tutti gli abitanti degli inferi. “E quindi uscimmo a riveder le stelle” è la frase che spesso richiamava il mio pensiero, il desiderio più grande di certi e coscienti abitatori dell’inferno, una speranza, quasi un mantra per chi non può aspirare al paradiso. Almeno le stelle, quelle sì, potrei vederle.
Ma in sostanza, il romanzo, è scritto bene?
Al di là delle sensazioni che può suscitare, la lettura è piacevole, lo stile scorrevole e ben comprensibile sebbene in qualche occasione prenda la deriva su emozioni interne a tratti ripetitive (perché già ampiamente metabolizzate dal lettore) di alcuni personaggi. Nulla di grave però, perché la storia prende grazie alle diverse implicazioni sugli attori in gioco, questi incasellati con cura e mai fini a sé stessi, si perdonerà l’autrice se spinge (solo a volte, ripeto) troppo a fondo su quanto l’amore possa cambiare e migliorare una vita difficile. Su questo lato si toccano temi delicati, mai banali, su condizioni di sofferenza che raramente vengono superate con facilità, ma un libro non deve necessariamente mostrare come sia possibile uscire da certe condizioni ma che è possibile farlo.
Una lettura che consiglio per la qualità di scrittura e la complessità delle emozioni che suscita. Un mondo, un punto di vista originale, che invito a scoprire per il modo in cui riesce a catturare e far riflettere.
_EOT
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